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La finanza di progetto, o project financing, rappresenta una modalità di finanziamento sempre più diffuso nel settore delle opere pubbliche e in quello dei servizi.

Detto strumento è caratterizzato da una struttura finanziaria piuttosto complessa e da una allocazione dei rischi particolarmente dettagliata e consente la realizzazione di progetti di grande rilevanza economica e sociale.

Negli ultimi anni questo strumento è stato impiegato anche per interventi di minore importanza.

Nel contesto del diritto amministrativo, la finanza di progetto si configura come un’alternativa efficace alla tradizionale forma di finanziamento pubblico.

Attraverso questa modalità, il settore pubblico può affidare la progettazione, realizzazione e gestione di opere pubbliche a soggetti privati, i quali si impegnano a realizzare l’opera e a garantire il corretto funzionamento per un determinato periodo di tempo, accollandosi i relativi rischi, in cambio della possibilità di remunerarsi mediante la gestione della stessa opera.

Detto meccanismo è incentivante sia per la parte pubblica, che può considerare l’operazione fuori bilancio ed estranea ai limiti dell’indebitamente pubblico, che per quella privata che può massimizzare i propri profitti con una gestione del progetto efficiente e virtuosa.

Per approfondimenti:

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1. La finanza di progetto nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici

Rispetto alla struttura dell’impianto codicistico previgente (d.lgs. n. 50/2016), il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36) affronta l’argomento, da un punto di vista sistematico, in modo differente: il contratto di concessione e la finanza di progetto non sono due tipologie contrattuali diverse (come, invece, considerava il Legislatore del 2016).

Come riportato nella Relazione illustrativa al Nuovo Codice, si tratta del medesimo contratto di concessione che può essere finanziato sia in “corporate financing” sia in “project financing”.

Nella Relazione, inoltre, si afferma che “In ragione della peculiarità di tale ultima operazione economica (in cui la società di progetto isola il progetto e consente di schermarlo dai rischi operativi), sono state comunque riservate alla finanza di progetto norme specifiche in tema di aggiudicazione ed esecuzione del contratto (la finanza di progetto è così diventata un capitolo “interno” alla disciplina della concessione)”.

Quanto premesso concerne l’inquadramento di tale istituto nel nuovo Codice che, come detto, costituisce la procedura attraverso cui viene affidata una concessione su iniziativa dei privati.

Questa non è, però, l’unica novità in esso contenuta. Infatti, il D.lgs. n. 36/2023 ha anche snellito la procedura e, in particolare, semplificato gli adempimenti previsti a carico dei soggetti proponenti, e tale intervento è stato fatto per incentivare l’uso di questo strumento.

L’intervento del Legislatore, quindi, ha portato ad uno “snellimento” delle regole giuridiche: dall’articolo 193 del nuovo Codice sono state eliminate tutte quelle previsioni, contenute nei primi quattordici commi dell’articolo 183 dell’abrogato Codice 50/2016, afferenti la cd. finanza di progetto ad iniziativa pubblica.

Questo perché la finanza di progetto su iniziativa pubblica non è nient’altro che una concessione la cui disciplina rimane attratta nella parte del Codice dedicata appunto ai contratti di concessione.

Inoltre, vi è stato un importante “alleggerimento” degli incombenti richiesti al privato per la presentazione della proposta rispetto a quelli dettati dal previgente Codice.

Tra questi vi è senz’altro la dimostrazione dei requisiti. Il Legislatore non richiede più particolari requisiti agli operatori economici in fase di proposta.

I privati, infatti, al momento di presentare la proposta di finanza di progetto non sono più tenuti a dichiarare di avere esperienza (requisiti) nell’ambito delle concessioni perché tale esigenza dovrà essere dimostrata solamente in fase di partecipazione alla procedura di gara e secondo le regole della stessa imposte, che verrà indetta successivamente per l’affidamento dei relativi lavori e servizi. Al privato è richiesto, dunque, di presentare (solamente): un progetto di fattibilità, una bozza di convenzione, il piano economico-finanziario asseverato e un documento con la specificazione delle caratteristiche della gestione del servizio.

Nell’ottica di cui sopra, è stata incentivata anche la partecipazione degli “investitori istituzionali” che possono ora assumere un ruolo importante già in questa prima fase. Infatti, sono titolati a presentare proposte di finanza di progetto, nonostante la loro natura giuridica ed economica non sia riferita in modo specifico al settore delle concessioni.

I requisiti dovranno, infatti, essere acquisiti successivamente per la partecipazione alla gara, anche avvalendosi “integralmente” delle capacità di altri soggetti o impegnandosi a subappaltare anche “integralmente” le prestazioni a imprese qualificate, a condizione che il nominativo del subappaltatore sia comunicato all’ente concedente entro il termine per la presentazione dell’offerta.

Ulteriore onere che il Legislatore ha deciso di eliminare, riducendo le spese di presentazione della proposta al fine di favorire l’utilizzo di detto strumento, è quello di richiedere, al momento di presentazione della proposta, la produzione di una garanzia provvisoria (a copertura, in caso di partecipazione alla successiva gara, della mancata stipulazione del contratto dopo l’aggiudicazione) e di un impegno a prestare una cauzione del 2,5% del valore dell’investimento, agevolando in modo notevole i soggetti proponenti che in passato hanno trovato difficoltà a ottenere tali garanzie in una fase preliminare.

Sempre nell’ottica sopra descritta, troviamo altresì l’intervento del Legislatore che ha introdotto per l’ente concedente la possibilità di sollecitare i privati a promuovere iniziative di realizzazione di progetti già inclusi negli strumenti di programmazione del partenariato pubblico-privato.

Codice dei contratti pubblici commentato – D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, Perfetti Luca R., VV. AA., Ed. WOLTERS KLUWER ITALIA.
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2. La società di scopo

Il Legislatore ha voluto rinforzare il concetto del finanziamento del contratto di concessione mediante il “project financing”, in alternativa al “corporate financing”, e lo ha fatto all’art. 194 del Codice, imponendo alle stazioni appaltanti, per gli affidamenti superiori alla soglia comunitaria (pari a 5.538.000€) – possiamo dire, dunque, per la maggior parte degli interventi proposti i cui importi eccedono tale valore – di prevedere nei bandi l’obbligo di eseguire il contratto mediante la costituzione di una “società di scopo”.

Società, quest’ultima, che opera e gestisce l’intervento dal punto di vista economico-finanziario in modo distinto rispetto alla società che ha partecipato alla procedura e si è aggiudicata la gara.

Nel precedente Codice, invece, era l’aggiudicatario a decidere, sulla base della facoltà riconosciuta dal bando, se costituire o meno la società (denominata nella previgente disciplina “società di progetto”) per eseguire in tutto o in parte i lavori e i servizi affidati.

La nuova denominazione ha origine dal termine “special purpose vehicle” utilizzato nel settore finanziario.

La società di scopo mira a realizzare il principio del “ring fence“, realizzando una separazione dei flussi finanziari generati dall’opera in oggetto e, in particolare, tenendo ben distinti il fabbisogno finanziario del promotore da quello della società di scopo, in modo da fa aumentare la bancabilità dell’operazione e assicurare che le risorse destinate al rimborso dei finanziamenti non vengano utilizzate per finalità estranee al progetto.

Il “ring fence” offre garanzie per il successo dell’operazione e incentiva gli investitori privati per diverse ragioni:

  1. La costituzione della società di scopo dopo l’aggiudicazione rappresenta un requisito di bancabilità;

  2. Il debito utilizzato per finanziare il progetto è tecnicamente “fuori bilancio” e i finanziatori possono rivalersi sui flussi di cassa del progetto e sui beni della società di progetto e non su quelli dei soggetti aggiudicatari che rimangono per certi versi estranei alla società di scopo;

  3. In caso di fallimento di uno dei soggetti aggiudicatari, la società di scopo può continuare la sua missione;

  4. In caso di fallimento della società di scopo, i promotori possono continuare le loro attività imprenditoriali, salvo la responsabilità personale e solidale dei soci per il rimborso dei contributi eventualmente erogati dal concedente.

3. La contribuzione pubblica e i fondi comunitari

Un tema interessante che può riguardare anche la finanza di progetto disciplinata dal nuovo Codice, e più in generale tutti i partenariati pubblici-privati, è quello della contribuzione pubblica mediante fondi comunitari.

A questo proposito, si richiama la Delibera Anac del 20 settembre 2022, n. 432, pur riferita alla disciplina contenuta nel vecchio Codice, intitolata “Il limite del 49% di contributo pubblico nelle operazioni di PPP (del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ss.mm.) e utilizzo dei contributi europei a fondo perduto”, che ha fornito chiarimenti in merito.

La Delibera stabilisce che i finanziamenti a fondo perduto provenienti dall’Unione Europea, anche nel contesto del PNRR, se non gravano sulla finanza pubblica nazionale e non sono a carico della pubblica amministrazione in alcuna modalità o forma, possono essere esclusi dalle valutazioni relative al “contributo pubblico” e, in particolare, dal limite del 49% previsto dagli articoli 165, comma 2, e 180, comma 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Questo perché tali fondi, come affermato dall’Anac, sono destinati a “pulire” la quota di investimento.

La Delibera specifica inoltre che, in caso di distinzione tra risorse europee a fondo perduto (grants) e prestiti onerosi soggetti a obbligo di restituzione da parte dello Stato italiano (loans), l’indicazione si applica esclusivamente alle risorse europee a fondo perduto (grants).

È vero che è entrato in vigore il nuovo Codice ma si ritiene che molti dei principi affermati e attuati nella prassi in vigenza della previgente disciplina, possano continuare ad essere validi ed applicati, almeno fino a quando nuove norme non ne modifichino l’interpretazione.

È bene precisare che, con l’entrata in vigore del nuovo Codice, il limite del 49% del costo dell’investimento complessivo è stato rimosso.

Il legislatore italiano ha, infatti, voluto riallineare la disciplina nazionale alla direttiva europea del 2014, che non prevede un limite fisso all’ammontare della contribuzione pubblica, purché l’operazione rispetti le condizioni di traslazione del rischio operativo dal concedente al concessionario.

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