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Il regime sanzionatorio riguardante l’abuso dei contratti a termine è stato modificato con la pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 16 settembre, del decreto-legge 131/2024, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”. La nuova normativa attribuisce al giudice del lavoro la facoltà di incrementare i risarcimenti per i lavoratori, a determinate condizioni.
Come funziona la normativa
In generale, un lavoratore può restare a tempo determinato per 12 mesi al massimo. Solo in determinati casi è possibile che la prestazione di lavoro a termine venga prorogata fino a un massimo di 24 mesi. Si tratta di:
- esigenze relative alla sostituzione di altri lavoratori;
- casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai contratti collettivi aziendali stipulati dalle Rsa/Rsu;
- in assenza di previsioni dei contratti collettivi, causali previste dai contratti collettivi applicati in azienda;
- in assenza di disposizioni dei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti nel contratto individuale.
Se la pubblica amministrazione viola tali casistiche, per il lavoratore scatta un risarcimento tra le 4 e le 24 mensilità. È il giudice a quantificare l’entità del risarcimento, a seconda della gravità della condotta del datore di lavoro. Più contenuta l’entità del risarcimento spettante in caso di azienda privata: in tal caso l’indennizzo va da 2,5 a 12 mensilità.
Cosa cambia
Da oggi “resta ferma la possibilità per il giudice di stabilire l’indennità in misura superiore se il lavoratore dimostra di aver subito un maggior danno“. Il tutto grazie al comma 1 dell’articolo 11 del d.l. 131 del 16 settembre 2024.
Prima dell’intervento, la materia era normata dall’art. 28 del decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015 che prevedeva le sanzioni del caso in presenza di trasformazione del contratto da tempo determinato in uno a tempo indeterminato conseguente all’abuso della normativa sui contratti a termine.
Le nuove disposizioni hanno inoltre abrogato il terzo comma dell’art. 28 del decreto legislativo 81/2015 che prevedeva la riduzione alla metà della indennità massima di 12 mensilità “in presenza di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie”.
Perché le novità
Il decreto legge interviene sulla normativa a seguito della procedura d’infrazione n. 2014/4231, con la quale l’Unione europea ha ritenuto non corretto il recepimento nell’ordinamento nazionale della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, che vieta la discriminazione dei lavoratori a tempo determinato e obbliga gli Stati membri a disporre di misure destinate a prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. Secondo la Commissione europea, la normativa nazionale non preveniva, né sanzionava in misura sufficiente l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per i lavoratori del settore pubblico e privato.
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