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Nell’ipotesi di fatture soggettivamente inesistenti emesse da parte della cartiera il raddoppio del termine di accertamento tributario interessa anche il soggetto che ha utilizzato le fatture stesse, traendone vantaggio tramite la detrazione IVA. I chiarimenti della Corte di Cassazione

In tema di accertamento tributario, in caso di emissione di fatture soggettivamente inesistenti da parte della “cartiera”, il raddoppio del termine di accertamento previsto dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis, opera anche nei confronti del soggetto che ha utilizzato tali fatture, traendone vantaggio economico attraverso il meccanismo della detrazione dell’IVA, avendo posto in essere fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, quantomeno con riferimento alla dichiarazione infedele.

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Così ha stabilito la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 23600 del 3 settembre 2024.

Fatture inesistenti: raddoppio dei termini di accertamento per l’emittente e per l’utilizzatore. La sentenza

La controversia ha preso le mosse dalle risultanze di una verifica fiscale condotta nei confronti di una società, a seguito della quale l’Agenzia delle entrate ha rideterminato il reddito ed escluso la detraibilità dell’Iva sugli acquisti perché la società rivestiva la qualifica di società utilizzatrice di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

Avverso l’atto di accertamento la società ha proposto ricorso che, giunto in CTR, è stato accolto.

A parere del giudice di secondo grado andava dichiarata la decadenza dall’esercizio del potere di accertamento in quanto nel caso di specie non operava il raddoppio dei termini ex artt.37 del d.l. n.223/2006 e 43 del d.P.R. n.600/1973, in assenza di obbligo di presentazione di denuncia penale nei confronti della contribuente.

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L’Agenzia delle entrate ha impugnato la decisione di secondo grado, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 43 d.P.R. n. 600/73 e 57 d.P.R. n. 633/72 nella versione di cui all’art. 37 d.l. n. 223/06, conv. in L. n. 248/06 e falsa applicazione degli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74/00, nella parte in cui la CTR afferma che l’omessa comunicazione di notizia di reato a carico della società ricorrente da parte dell’Agenzia “induce a ritenere insussistenti nella specie i presupposti dell’obbligo di denuncia”.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria e ha cassato con invio la sentenza impugnata.

Si premette che al caso di specie si applicano le disposizioni degli artt. 43 del DPR 600/1973 e 57 del DPR 633/1972, come integrati dall’art. 37, co. 24 del D.L. n. 223 del 2006 per cui, nel caso la violazione fiscale comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento raddoppiano relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.

Sono pertanto escluse dal caso de qua le modifiche introdotte al citato art. 43:

  • sia dall’art. 2, co. 1 e 2 del D.Lgs. n. 128 del 2015, che ha condizionato il raddoppio dei termini solo ai casi in cui la denuncia sia stata effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, che
  • dall’art. 1, co. 130, 131 e 132, della Legge n. 208 del 2015, che hanno eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari.

Nel caso de qua, la Corte di cassazione ha precisato che, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ratione temporis, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000.

Infatti, la giurisprudenza della Sezione è costante nell’affermare che il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo.

A parere della cassazione l’accertamento deve essere valutato nel complesso dell’operazione, in quanto rileva la complessiva operazione economica alla base dell’accertamento, se in tutto o in parte soggetta ad obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento alla posizione della contribuente.

In tal senso depone la stessa ratio legis: attraverso il raddoppio del termine il legislatore ha voluto dare più tempo all’azione impositiva in conseguenza di fatti che nella loro oggettiva materialità destano particolare allarme sociale e per tale ragione sono presidiate dalla legge penale.

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Per tali fatti di norma le indagini sono particolarmente complesse e possono anche coinvolgere una giurisdizione, quella ordinaria, ulteriore rispetto a quella tributaria con conseguente complicazione per l’operare dell’Amministrazione finanziaria.

Ragionare diversamente sarebbe particolarmente incongruo nel caso di specie, in cui la contribuente è chi ha materialmente acquistato, ricevendo e utilizzando le fatture emesse in dipendenza di operazioni soggettivamente inesistenti.

Nello schema economico seguito nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’intento pratico dell’illecito perseguito attraverso l’emissione della fattura falsa è proprio consentire all’acquirente reale di detrarre l’IVA solo nominalmente versata al venditore, ma da questo non versata all’erario e restituita all’acquirente, dietro compenso.

Nel caso di specie non è controverso il fatto che il reato ascrivibile alla “cartiera”, dante causa della contribuente, fosse di emissione di fatture soggettivamente inesistenti, ex art. 8 d.lgs. n. 74/2000 e procedibile d’ufficio.

La condotta materiale di emissione delle fatture sanzionate dalla legge penale nei termini suddetti produce effetti di raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, indipendentemente dal fatto che sia stata promossa o meno l’azione penale nei confronti nei confronti della sua posizione soggettiva.

Con riguardo alla specifica posizione dell’acquirente reale utilizzatore delle fatture false, il raddoppio dei termini per l’accertamento consegue del pari dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ossia, quantomeno, il reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. n.74/2000, avendo la contribuente presentato dichiarazione fiscale per l’annualità accertata ed essendo ampiamente rispettati i limiti di soglia per la configurabilità astratta del reato.

Da qui il seguente principio di diritto: “In tema di accertamento tributario, in caso di emissione di fatture soggettivamente inesistenti ex art. 8 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 da parte della “cartiera” dante causa, opera il raddoppio del termine di accertamento previsto dall’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis, anche nei confronti del soggetto che ha utilizzato tali fatture, traendone vantaggio economico attraverso il meccanismo della detrazione dell’IVA, avendo posto in essere fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, quantomeno con riferimento alla dichiarazione infedele di cui all’art.4 del medesimo decreto legislativo”.



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