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Duemila miliardi in 15 anni dagli over 70 ai giovani (e alle donne): chi ha paura di investire sul «grande passaggio»? #adessonews

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La cifra che passerà di mano ai giovani. Che li potrebbero impiegare in modo costruttivo, anche per il Paese. Ad esempio con un fondo (agevolato) per l’ambiente. Quali sono i rischi del passaggio generazionale 

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Forse confidando nell’immortalità (dopotutto è un peccato veniale) tendiamo a rimuovere un grande tema dei prossimi anni. Non è escluso che lo si faccia per comprensibili ragioni scaramantiche. Gran parte della ricchezza finanziaria e immobiliare appartiene a persone che hanno più di 70 anni, nate soprattutto nel periodo del boom economico. Alessandra Losito, country head Italia della svizzera Pictet Wealth Management, citando uno studio internazionale Knight Frank, stima che ci sarà, nei prossimi quindici anni, un passaggio generazionale di patrimoni, piccoli e grandi, per duemila miliardi. Una cifra equivalente ai due terzi del nostro debito pubblico. E già qui si intuisce perché l’argomento costituisca un solido tabù e sia preferibile non parlarne. I due bacini sono separati, ma non con porte troppo stagne. Anche se non vi è, alla vista, alcun pericolo che i vasi possano diventare comunicanti. Stiamo parlando di eredità che transiteranno soprattutto dai cosiddetti boomer, la legione più corposa degli attuali pensionati, a figli e nipoti.

Un fatto privato? No, una rivoluzione sociale

Una transizione anche di genere: maggiormente a favore, grazie a una superiore attesa di vita, di mogli e figlie. Mai vi è stata nella storia (e non solo del nostro Paese) un’ondata di eredità come quella che, per ragioni squisitamente demografiche, ci apprestiamo ad affrontare.
Il fenomeno è tutt’altro che un fatto privato. Quasi una rivoluzione sociale destinata a cambiare radicalmente le modalità di risparmio e investimento (toccherà soprattutto alle donne scegliere), ma anche un’opportunità o un rischio per l’intero sistema economico. Nella ricerca di Knight si valuta che, a livello globale, il grande travaso nel prossimo ventennio riguarderà asset per 90 mila miliardi di dollari. Si tratta in termini tecnici di un cosiddetto liquidity event. 
Che impieghi avranno questi capitali? Nelle allocazioni dell’industria del risparmio gestito l’Italia vale solo l’1 per cento. E ciò vuol dire che quella massa di risparmio, che ingolosisce l’industria dell’asset management (in larga maggioranza a proprietà estera), resterebbe soltanto in parte del tutto irrisoria nel nostro Paese. E sarebbe opportuno, di conseguenza, che si aprisse una discussione su quali strumenti finanziari, e quali incentivi fiscali, offrire al risparmio perché sia più paziente e nazionale, affinché sostenga il lavoro e l’impresa del territorio, non quello dei nostri avversari nella grande battaglia sulla competitività preconizzata dal Rapporto Draghi.




















































Un fondo (agevolato)per l’ambiente

Un’ipotesi (e c’è chi la sta studiando) potrebbe essere quella di offrire agli eredi quote fiscalmente incentivate di un grande fondo per la messa in sicurezza geologica e ambientale del Paese con rendimenti minimi assicurati. Costituirebbe anche un importante collaterale a garanzia degli impegni finanziari, a livello europeo, del Paese. L’omertà che circonda questo liquidity event non è solo legata alla rimozione cabalistica degli effetti dell’invecchiamento. Gli Stati, sempre più in difficoltà nell’inseguire cespiti e tassare imponibili, potrebbero nutrire qualche tentazione, proprio perché dovranno affrontare grandi sfide tra cui quella del cambiamento climatico. A testimonianza di quanto sia mutato l’umore dell’opinione pubblica, oltre alle scelte fiscali annunciate del premier laburista inglese Keir Starmer e alle proposte di Kamala Harris, c’è persino un referendum svizzero per tassare i ricchi che solo qualche anno fa sarebbe stato ritenuto blasfemo.
L’iniziativa dei socialisti rossocrociati ipotizza un’aliquota del 50% sopra i 50 milioni. Il gettito andrebbe tutto agli investimenti per il clima e l’ambiente. L’Italia, dal punto di vista dell’imposta di successione, è di fatto un paradiso fiscale. Uno dei Paesi più vantaggiosi. Ed è persino concorrenziale con i più generosi cantoni svizzeri. Non solo: l’imposta forfettaria per gli stranieri che scelgono la residenza italiana si porta appresso l’esenzione da imposte sulle successioni e sulle donazioni.

Una nuova imposta di successione

Basta guardare a quello che è accaduto con le successioni Del Vecchio e Berlusconi. All’Erario pochi e risicati milioni. Del resto l’imposta sulle successioni venne formalmente abolita nel 2001 da un esecutivo guidato dal fondatore di Forza Italia. Il conflitto d’interesse ha operato, efficacemente, dopo più di un ventennio. Oggi c’è la franchigia di un milione per coniuge e figli e 100 mila per i fratelli e poi si applica un’aliquota tra il 4 e l’8%. Gettito: un misero miliardo. In Francia, tanto per fare un esempio, l’imposta è al 45% con una quota esente molto più bassa. Se Del Vecchio e Berlusconi fossero stati francesi avremmo finanziato una manovra. In Italia nessuno si azzarda più a proporre una rimodulazione dell’imposta di successione. Sfortunata e improvvida fu l’idea di riformarla di Enrico Letta e Antonio Misiani (che volevano così favorire gli investimenti a favore dei giovani e della loro educazione) nella campagna elettorale del 2022. Gli economisti Marco Leonardi e Leonzio Rizzi hanno proposto sul Foglio di abbassare il carico Irpef e finanziare, attraverso un aggravio dell’imposta di successione, l’assegno unico familiare. Se ne parlerà solo a livello accademico. Gli italiani poi, forse anche qui per un atavico fatalismo, non fanno testamento. Solo poco più del 10% si perita di scriverlo. «Una situazione destinata a cambiare in fretta — è l’opinione del notaio milanese Arrigo Roveda — non solo perché la demografia porterà a un moltiplicarsi dei passaggi patrimoniali ma anche perché le famiglie si sono allargate comprendendo le unioni civili, con varianti imprevedibili. Un esempio: la gestazione per altri è proibita ma praticata più di quanto non si pensi e ciò comporta problemi successori estremamente complessi. Anche per queste ragioni, e per il diffondersi di cronicità e non autosufficienze, è consigliabile fare per tempo una sorta di check up di tutti gli aspetti, non solo quello fiscale, ma per decidere se e in quali termini programmare il passaggio per testamento».
In assenza di eredi, dopo il sesto grado, trascorsi dieci anni, ne beneficia lo Stato. I testamenti e le donazioni con finalità sociali sono esenti da tasse (come in quasi tutto il mondo) ma certo si potrebbero trovare forme, con incentivi maggiori in vita, per incrementare un tasso di generosità italiano già elevato, a dimostrazione del grande valore del patrimonio sociale. Il passaggio delle aziende familiari sarà lo scoglio più delicato. La comunione è spesso considerata il modo migliore di tutelarne la continuità, salvo l’inevitabile moltiplicazione delle liti ereditarie. 
Un legislatore attento e consapevole dovrebbe tendere a favorire l’imprenditorialità e la ricerca di una maggiore dimensione aziendale, anziché la comprensibile tentazione di trasformarsi in rentier. Qui emerge il pericolo maggiore del grande passaggio: l’aprirsi, del tutto legittimo per carità, di tanti dorati viali del tramonto di famiglie imprenditoriali. Una discesa agli inferi per il resto del Paese.

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24 settembre 2024



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