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La normativa sul condono non ammette la possibilità di compiere
nuovi lavori di modifica su un immobile già
oggetto di sanatoria pendente, poiché, in quel
caso, verrebbe meno l’attuale riconoscibilità del manufatto
originario che dev’essere valutato.
In pendenza di un procedimento di condono, si
possono conseguire esclusivamente interventi finalizzati a
garantire la conservazione del manufatto, e non sono in alcun modo
consentiti gli ampliamenti di volumetria, in relazione ai quali si
rende doverosa l’emissione dell’ordinanza di ripristino dei
luoghi.
Condono pendente: quali interventi ammessi?
Lo ribadisce il TAR Lazio con la sentenza
del 5 settembre 2024, n.
16110 che rigetta il ricorso per l’annullamento di un
ordine di demolizione disposto per ulteriori opere di
ristrutturazione “pesante” – conseguite su un
immobile già oggetto di condono, richiesto ai sensi della Legge n.
326/2003 (Terzo Condono Edilizio) – in relazione
alle quali, in parte si trasmettevano nuove istanze di condono, e
in parte si attribuiva la natura
pertinenziale.
Innanzitutto viene chiarito che, in presenza di immobili abusivi
non sanati né condonati, gli ulteriori interventi realizzati sugli
stessi devono essere considerati illegittimi al pari
dell’opera originariamente ritenuta abusiva, in quanto non
è possibile proseguire con lavori di completamento e/o modifica di
opere che, comunque, fino a quando non ottengono effettivamente
l’approvazione di eventuali sanatorie, rimangono sempre
abusive.
In questi casi, il Comune non è solo legittimato, ma è anche
obbligato, a ordinare la demolizione delle
ulteriori opere conseguite su un immobile già oggetto di istanza di
condono non ancora esitata.
Tale principio, viene precisato, si applica:
- a tutti gli interventi di nuova costruzione e di
ristrutturazione edilizia; - alle categorie della manutenzione straordinaria, del
restauro e/o risanamento conservativo; - alla realizzazione di pertinenze
urbanistiche.
Questo perché, in presenza di un’istanza di condono,
l’immobile deve rimanere esattamente com’era al momento della
scadenza del termine per l’inoltro dell’istanza.
Non sono ammessi in alcun caso lavori di modifica o
completamento e si può intervenire sull’immobile esclusivamente per
conseguire eventuali lavori necessari a garantirne la
conservazione. In caso contrario, verrebbe meno la
riconoscibilità del manufatto originario, che
dev’essere valutato ai fini della sanatoria.
Ampliamento corrisponde a ristrutturazione: necessario
il Permesso di Costruire
In virtù di quanto spiegato, non è certo possibile conseguire
interventi di ampliamento di un immobile oggetto
di istanza di condono pendente, relativi alla costruzione di due
locali con tanto di scala esterna, e di una tettoia chiusa per 2/3
dove sono stati realizzati altri piccoli locali (con relativi
bagni) – predisposti all’installazione di tutti gli impianti e ad
uno stato di finitura avanzato – presumibilmente a servizio di una
piscina.
Nel caso in esame, infatti, è stato realizzato un vero e proprio
intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art.
3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 (Testo
Unico Edilizia), e peraltro, essendo un intervento di
ristrutturazione “pesante”, necessitava del
Permesso di Costruire come previsto dall’art. 10, comma 1,
lett. c), dello stesso TUE.
È inoltre giurisprudenza consolidata il principio secondo cui
“per la realizzazione di un organismo edilizio avente natura e
consistenza tali da ampliare in superficie o volume l’edificio
preesistente sia necessario ottenere un permesso di costruire, non
essendo ammissibile una considerazione astratta ed atomistica dei
relativi singoli interventi, dovendone, invece, necessariamente
predicarsene una valutazione unitaria, sintetica e complessiva, in
quanto divenuti parti di un più ampio quadro di illecito
sostanzialmente unitario”.
La nozione di pertinenza urbanistica
A ciò si aggiunge che opere di questo genere non possono essere
reputate solo pertinenziali, in quanto tale nozione è attribuibile
esclusivamente ai locali di entità tale da non alterare in modo
rilevante l’assetto del territorio.
La concezione di pertinenza in senso
urbanistico, infatti, è differente da quella intesa in
senso civilistico all’art. 817 c.c., in quanto non considera solo
il rapporto funzionale di accessorietà con la cosa principale, ma
include tutte le caratteristiche dell’opera in sé e
l’autonomo impatto urbanistico che produce sul
territorio.
Dunque, possono essere considerate pertinenze urbanistiche
solamente le opere che:
- siano di modestissima entità e accessorie
rispetto ad un’opera principale, come ad esempio i piccoli locali
necessari al contenimento di impianti tecnologici e simili; - siano prive di un autonomo valore di
mercato; - non comportino incrementi urbanistici;
- siano coessenziali al bene principale e,
quindi, esauriscano la propria finalità nel loro rapporto con
l’immobile principale.
È dirimente infine sottolineare che le opere di cui al caso in
esame sono state realizzate all’interno di un’area
sottoposta a vincoli paesaggistici, ai sensi del D.lgs. n.
42/2004 (Codice dei beni culturali e del
paesaggio).
A tal proposito, si osserva che, oltre al Permesso di Costruire,
era necessario quindi ottenere anche l’autorizzazione
paesaggistica e che, in mancanza di questa, l’ordine
demolitorio risulta doveroso. In conclusione, il ricorso è
stato respinto.
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La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
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