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diJacopo Storni
Francois Desire, 45 anni, del Burkina Faso, produce diecimila bottiglie l’anno con etichette che rimandano al suo Paese. Per la vendemmia dà lavoro a braccianti italiani e a migranti. Le barbatelle toscane impiantate in Africa
Quando lo vedono aggirarsi tra i filari, lo scambiano per il bracciante della vendemmia. Invece no, lui è il proprietario dei vigneti. Francois Desire, 45 anni, africano del Burkina Faso, è un imprenditore vitivinicolo. I suoi vigneti si estendono sull’impervia collina sopra Carrara, nel cuore del Candia. Terrazzamenti accidentati, difficilissimi da lavorare. Terreni che stavano andando in malora, a rischio frana.
Fino a quando non è arrivato lui, che ha creduto nel progetto (quasi impossibile) di portare a nuova vita queste vigne. Oggi, in questi sei ettari di vigneti a picco, produce diecimila bottiglie l’anno, soprattutto vermentino, massaretta, sangiovese e merlot. Ogni bottiglia ha un’etichetta speciale, che rimanda al suo Paese d’origine: «Yennenga» è la Principessa del regno di Dagomba, «Le lacrime di Guimbi» ricorda il sovrano e capo militare di quello che oggi è il Burkina.
Durante la vendemmia appena conclusa, qui hanno lavorato una quindicina di braccianti, alcuni italiani, altri migranti dei centri di accoglienza del territorio, oltre alla moglie e ai sei figli di Francois. Nel centro storico di Carrara ha aperto un locale dove il vino viene imbottigliato e poi venduto. Bottiglie che vanno fortissimo. Talmente forte, che Francois s’è inventato un progetto quasi folle: esportare i vitigni in Africa: «Ho portato nel mio Paese d’origine 2mila barbatelle per impiantare decine di vigneti».
Aiutarli in patria
Così oggi in Burkina stanno crescendo vigneti toscani in dieci ettari di terreno, che presto diventeranno quaranta. Un progetto più unico che raro che potrebbe sdoganare il vino toscano nel continente africano, dove è praticamente impossibile trovare etichette italiane. Il clima in Africa è più torrido, ma i vigneti crescono bene, assicura Francois: «Tra un anno saremo in grado di produrre le prime bottiglie». Qui sono impiegati circa 80 giovani africani senza lavoro, che stanno seguendo corsi di formazione per imparare a lavorare la terra e diventare viticoltori: «L’obiettivo di lungo periodo, oltre a diffondere il vino toscano in Africa, è disincentivare l’emigrazione verso l’Europa. I ragazzi africani hanno il diritto di vivere nel proprio Paese».
Avrebbe voluto restare in Africa anche Francois, ma è dovuto fuggire dall’instabilità politica della Costa d’Avorio, il Paese in cui è cresciuto: «Ero attivista dentro un partito politico malvisto dal Governo, la dissidenza politica rischiava di essere pagata a caro prezzo e quindi sono partito in aereo per l’Europa. Ho vissuto prima in Germania poi in Italia, sono stato nei centri di accoglienza, poi ho messo a frutto la mia esperienza di cuoco. Ho lavorato in un ristorante, poi in fabbrica come operaio metalmeccanico, quindi ho imparato il mestiere del vino nelle cantine». Infine il grande salto. «Ho scoperto che c’erano questi vigneti abbandonati ma fruttuosi, ho partecipato al bando della Regione Toscana per l’avviamento delle imprese di giovani agricoltori, l’ho vinto e grazie ai fondi ricevuti ho rimesso in piedi questo pezzo di terra».
Il resto è la realtà di oggi, l’azienda Incandia Bio, una realtà che, come sostiene l’assessora toscana all’agricoltura Stefania Saccardi, potrebbe cambiare la storia: «Se il vitigno toscano si rivelerà adeguato ai climi africani, potrebbe essere un’occasione di sviluppo reciproca: da un lato per l’economia vinicola toscana, che potrebbe sfondare su mercati inesplorati, dall’altra per tanti giovani potenziali migranti che potranno restare a vivere nelle proprie terre».
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