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Recentemente la Cassazione (ordinanza n. 19069/24) ha confermato un provvedimento della Corte d’Appello di Ancona, che ha impedito a un padre, ricorrente appunto in Cassazione, di pernottare con il proprio figlio fino a quando quest’ultimo non avrà compiuto i tre anni; la Suprema Corte non si è espressa in nessun principio di diritto, ma ha semplicemente dichiarato inammissibile il ricorso di quel padre che riteneva violato il proprio diritto alla bi-genitorialità.
Al netto di fisiologiche necessità di allattamento, che cambiano da caso a caso, ricordiamoci che non esiste alcuna legge che pone il limite dei tre anni d’età per i pernotti dei figli con il loro padre, così come non esiste nessuna legge che statuisce che una madre abbia più competenze del padre a gestire addormentamento e pernotti del minore.
Tale pronuncia, che non è un nuovo dogma, offre l’occasione per alcune riflessioni.
In primo luogo il limite dei tre anni, spesso usato nei Tribunali come “via libera” per ampliare la frequentazione tra il figlio e il padre – limite che dovrebbe corrispondere al superiore interesse del minore-, non viene imposto anche ai figli di genitori non separati. In altri termini: il padre separato pernottando con il proprio figlio gli fa del male; se invece il padre non è separato la sua presenza -anche durante i pernotti- fa bene al minore.
Siccome un tanto è più assurdo che impossibile, difficile non ammettere che sulle modalità di gestione dei figli spesso si consumano sentimenti di vendetta nei confronti dell’ex, che non ha corrisposto a desideri e intendimenti della controparte; tale vendetta spesso inizia proprio con i pernotti e si conclude dopo anni e anni con opere di alienazione devastanti.
In secondo luogo non si può non rilevare che esistono casi in cui i minori anche sotto i tre anni vengono collocati in modo prevalente dai loro padri e ciò nel caso in cui le madri vengono giudicate inidonee.
In altri casi invece una coppia consensualmente ben può stabilire i pernotti dal padre prima dei tre anni. Altrimenti detto: lì dove vi è una madre che ritiene di aver ben usato il proprio discernimento nello scegliere con chi procreare (e viceversa) e continua a non avere dubbi circa la propria scelta iniziale, coerentemente le parti si accordano anche circa i pernotti del figlio.
I pernotti consistono in momenti quali addormentamento, colazione insieme, piuttosto che risvegli notturni per una qualche paura infantile, tutte occasioni che creano un intimo legame tra un figlio e un genitore.
Anche lì dove venga vietato al padre di dormire o semplicemente di trascorrere più tempo con il minore sotto una certa età, vogliamo essere così ipocriti da credere che quel figlio non dormirà con il nuovo compagno della madre (o vari compagni che si succedono nell’arco del tempo, che dormiranno proprio nella casa di proprietà del padre, assegnata alla madre), vogliamo credere che il piccolo non andrà in vacanza per più giorni con i nonni materni e che all’occasione non si sveglierà con la baby-sitter chiamata -e pagata- all’occorrenza? Eppure tutto questo viene considerato “best interest” per il minore, mentre pernottare dal suo vero padre che lo ama e lo ha messo al mondo è invece circostanza da limitare.
Stiamo assistendo nell’ambito delle relazioni interpersonali a prese di posizioni preconcette ed ideologiche che, in un malinteso senso di opposizione al patriarcato, vogliono punire gli uomini di oggi per quello che sono stati gli uomini di ieri. Ma questa non è giustizia, è regolamento di conti. L’idoneità genitoriale, anche per gestire i pernotti, al netto sempre del periodo di allattamento, non dipende tanto dall’età del minore, ma dall’idoneità di quel singolo genitore a corrispondere alle esigenze di quel figlio; nell’ambito del diritto di famiglia il dogma della “madre più idonea” del padre è un duro a morire e ciò anche di fronte a evidenze chiaramente contrarie.
Avv. Giovanna Augusta de’Manzano
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