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Dopo che l’imputato in primo grado è stato condannato anche al risarcimento del danno, il giudice d’appello non può limitarsi a prendere atto che il reato è prescritto, adottando le statuizioni civili di risarcimento sulla base della regola civilistica del “più probabile che non”, ma è tenuto comunque a valutare se sussistono i presupposti per l’assoluzione del merito, anche di fronte a prove insufficienti o contraddittorie. E ciò per la presenza in giudizio della parte civile. Lo stabiliscono le Sezioni unite penali della Cassazione nella sentenza n. 36208 del 27/09/2024, che affronta una questione «di particolare importanza», sorta dopo la sentenza costituzionale 182/21, che interpreta la pronuncia di estinzione del reato ex articolo 578 Cpp in base al principio di presunta innocenza.
Pronunce compatibili
Al collegio esteso la sezione semplice chiede come la pronuncia della Consulta si concili con la sentenza 35490/09 delle Sezioni unite penali secondo cui, quando interviene una causa che estingue il reato, il proscioglimento nel merito può essere deciso soltanto se l’estraneità dell’imputato emerge dagli atti processuali senza altri approfondimenti; applicando la sentenza costituzionale, infatti, il giudice d’appello avrebbe dovuto, ai fini penali, concludere per l’estinzione del reato perché non risulta evidente la prova che l’imputato è innocente e, ai fini civili, pronunciarsi soltanto sul diritto del risarcimento delle parti civili, sulla base del principio del «più probabile che non» applicato nel civile per la responsabilità extracontrattuale. In realtà le due pronunce non sono incompatibili: il giudice d’appello, dunque, al maturare della prescrizione può accertare che esistono a favore dell’imputato i presupposti dell’assoluzione nel merito. Il tutto in base alla regola dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» applicata nel processo penale.
Effetti paradossali
Il vincolo posto dalla sentenza della Consulta implica soltanto che l’articolo 578 Cpp non può essere interpretato nel senso che la responsabilità civile accertata dal giudice penale con la declaratoria di estinzione del reato equivalga ad affermare la responsabilità penale, sia pure in via incidentale, da parte dell’autore del danno. La sentenza 35490/09 delle Sezioni unite penali, dal canto suo, assicura la più ampia tutela del diritto di difesa e dunque non può ritenersi in contrasto con la tutela della presunzione d’innocenza. Imporre al giudice d’appello, in caso di prescrizione, la mera presa d’atto della causa estintiva avrebbe effetti paradossali: negare in nome del principio di presunta innocenza la possibilità per il giudice di valutare i presupposti dell’assoluzione nel merito, che rappresenta l’obiettivo primario del diritto di difesa. Insomma: il vincolo negativo che deriva dalla sentenza costituzionale non incide sul principio affermato nel 2009 dalle Sezioni unite. E d’altronde l’imputato potrebbe avere scelto di non rinunciare alla causa estintiva confidando nel «diritto vivente» scaturito dalla sentenza e consolidatosi con la successiva giurisprudenza.
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