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Cos’è il solare termodinamico, che l’Italia vuole riscoprire #adessonews

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Un paio di giorni prima di Ferragosto il ministero dell’Ambiente ha pubblicato il decreto Fer 2, l’atteso provvedimento che incentiva gli impianti innovativi di energia da fonti rinnovabili. Nella lista delle tecnologie supportate compaiono l’eolico offshore, il fotovoltaico galleggiante, il geotermico avanzato, il moto ondoso. E il solare termodinamico, un sistema poco noto per generare calore dalla luce solare e impiegarlo nella produzione di energia elettrica o termica, anche di notte o con il cielo nuvoloso.

Il solare termodinamico, anche noto come “solare a concentrazione”, non ha avuto lo stesso successo del fotovoltaico. Mentre infatti quest’ultimo ha rappresentato da solo i tre quarti delle aggiunte di capacità rinnovabile a livello globale nel 2023 ed è oggi – per merito di una manifattura su larga scala ed efficiente – l’opzione meno costosa per la nuova generazione elettrica in gran parte del mondo, la commercializzazione del termodinamico è ancora ostacolata dalle complessità degli impianti e dai costi elevati.

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Come funzionano gli impianti solari a concentrazione

Proprio l’affermazione del fotovoltaico, però, ha fatto emergere, assieme alle qualità, anche i limiti di questa tecnologia: nelle ore serali, quando non c’è luce ma aumenta la domanda di elettricità per i consumi domestici, l’output dei pannelli fotovoltaici viene meno, richiedendo l’integrazione delle batterie o di centrali dalla generazione continuativa. Il solare termodinamico permette di fare qualcosa in più e con meno sostegni esterni. Negli impianti a concentrazione non ci sono pannelli bensì degli specchi che – come da nome – concentrano i raggi del Sole verso un punto, chiamato ricevitore, dove il calore viene immagazzinato per molto tempo in attesa dell’utilizzo. Ciò è possibile perché all’interno del tubo ricevitore scorre un fluido capace di accumulare e trasportare il calore; tale fluido, detto termovettore, consiste di solito in una miscela di sali fusi.

Il solare a concentrazione ha insomma due punti di forza. Il primo è che, essendo più facile conservare il calore che l’elettricità, può contribuire alla stabilità della rete svolgendo una funzione di stoccaggio a lungo termine: in questo senso gli impianti termodinamici rappresentano un’alternativa alle batterie elettrochimiche, che sono costose, limitate nella durata e dipendenti da metalli critici. L’altro pregio è la possibilità di produrre calore a zero emissioni (anche oltre i 500 gradi) per quei processi industriali dipendenti dai combustibili fossili.

Passato, presente e futuro del solare termodinamico in Italia

Il decreto Fer 2 mette a disposizione un contingente di potenza di 80 megawatt tra il 2024 e il 2028 per gli impianti di solare termodinamico di varie taglie e dotati di sistema di accumulo termico, con una tariffa che va dai 200 ai 300 euro al megawattora. Gli obiettivi dell’Italia relativi a questa tecnologia vengono espressi anche nel Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), il piano che fissa gli obiettivi energetici nazionali al 2030: entro quella data si prevede appunto di arrivare a una potenza di 80 MW nel settore elettrico. Tuttavia, per fare in modo che il solare a concentrazione “possa contribuire efficacemente al processo di transizione energetica”, si legge nel documento, “è prioritario ridurre i costi di generazione, con attività di R&S e soluzioni tecniche finalizzate all’incremento delle prestazioni”.



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