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Le proposte dei partiti, da Quota 41 della Lega all’aumento delle minime di Forza Italia, costano troppo. Conferma per Opzione donna e Ape sociale. L’ipotesi del silenzio-assenso per il Tfr ai fondi integrativi
Sulle pensioni non ci sarà Quota 41 (in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età), neppure nella versione light (calcolo contributivo dell’intero assegno) proposta dalla Lega, perché troppo costosa, mentre dovrebbero essere prorogati gli attuali tre canali di pensionamento in scadenza il 31 dicembre prossimo: Quota 103 (in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni d’età), Opzione donna e Ape sociale, confermando anche la stretta introdotta con la manovra di un anno fa (calcolo contributivo della pensione per chi va con Quota 103 e tetto all’importo dell’assegno fino al raggiungimento dei 67 anni), che ha determinato un crollo delle domande, e della spesa.
No a nuovi canali di uscita anticipata, ma «prolungamento dell’età lavorativa»
Alla fine, insomma, la prossima legge di Bilancio per il 2025 non dovrebbe introdurre nuove concessioni sul terreno della flessibilità in uscita, in attesa di tempi migliori. Anzi, secondo quanto si legge nel Piano strutturale di bilancio (Psb)che il governo invierà a Bruxelles, lo stesso esecutivo «si impegna a introdurre modifiche sui criteri di accesso al pensionamento», ma nel senso di un «prolungamento dell’età lavorativa». Tra le misure in arrivo: il superamento, per i dipendenti pubblici, dell’obbligo di andare in pensione a 67 anni, che quindi, su base volontaria, potranno restare al lavoro «permettendo alla Pa di trattenere le risorse ad elevato Know-how», si legge nel Psb. Ma «incentivi alla permanenza nel mercato del lavoro» sono allo studio anche per i lavoratori privati.
Troppe pensioni anticipate
Del resto, è dell’altro giorno l’allarme contenuto nel Rapporto annuale dell’Inps per le troppe uscite anticipate rispetto all’età per la pensione di vecchiaia (67 anni) che assorbono ormai la metà della spesa per pensioni e rischiano, sul medio-lungo periodo, di compromettere l’equilibrio finanziario del sistema. È questa la linea sulla quale si sta muovendo il governo, sulla scia delle forti preoccupazioni espresse più volte dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sul declino demografico dell’Italia. Linea che lo stesso Giorgetti ha illustrato ieri ai sindacati. Pochi margini ci sarebbero anche per accogliere la richiesta di Forza Italia di aumentare le pensioni minime.
Migliora l’indicizzazione delle pensioni?
L’unico spiraglio di miglioramento si sarebbe aperto sul fronte della perequazione, ovvero dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione. Con la manovra 2023 il governo Meloni aveva tagliato l’indicizzazione per gli assegni superiori a quattro volte il minimo (2.459 euro lordi al mese, circa 1.700 euro netti), operazione che consentì di mettere a bilancio risparmi per 10 miliardi nel triennio (e ben 36 miliardi fino al 2032). L’attuale meccanismo di perequazione scadrà anch’esso il 31 dicembre 2024. Senza interventi si tornerebbe al sistema standard: rivalutazione del 100% fino a 4 volte il minimo, del 90% fra 4 e 5 volte e del 75% per gli importi superiori. Un sistema più generoso di quello attuale, che prevede un decalage della rivalutazione degli assegni superiori a 4 volte il minimo, dall’85% (tra 4 e 5 volte il minimo) fino al 22% per quelli oltre 10 volte il minimo.
In ogni caso, anche se la perequazione fosse migliorata e anche se fosse portata per tutti al 100%, gli aumenti sarebbero minimi, perché oramai l’inflazione non sta più intorno all’8%, come nel 2022, ma è scesa all’1,5%. E comunque resta un rischio: se dovessero passare in Parlamento misure di aumento della spesa, come per esempio la maggiorazione delle pensioni minime, il Tesoro chiederebbe di coprirle con risorse provenienti dalla stessa previdenza. E il modo più facile di trovarle è appunto il taglio della perequazione.
Previdenza integrativa
Altri segnali di novità potrebbero arrivare sul fronte della previdenza integrativa. La ministra del Lavoro, Marina Calderone, vorrebbe aprire un nuovo semestre di silenzio-assenso per far affluire il Tfr ai fondi pensione di categoria: gli accantonamenti per la liquidazione vi finirebbero automaticamente, se il lavoratore entro sei mesi dall’apertura del periodo non dichiarasse esplicitamente la propria contrarietà.
Come ribadisce il Psb, il potenziamento dell’adesione ai fondi pensione avverrà «su base volontaria», ma i lavoratori che si iscriveranno potranno utilizzare il montante maturato per raggiungere la soglia di accesso (importo pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale, cioè circa 1.500 euro al mese) alla pensione anticipata a 64 anni nel regime contributivo.
Si discute anche di migliorare il regime fiscale dei fondi pensione, ma molto dipenderà dalle risorse che il governo riuscirà a trovare per coprire tutti gli interventi previsti dalla manovra per il 2025 (almeno 25 miliardi di euro).
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