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Riccardo Staglianò: “Gli stipendi calano, ma gli italiani si sono arresi ai ricchi. Nessuno protesta più” #adessonews

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“I poveri assoluti in Italia sono 5,7 milioni, secondo il rapporto Istat del 2024: è gente che fatica pagare l’affitto, a mangiare. Un italiano su 10 non può mandare il proprio figlio in gita scolastica, perché anche 40 euro diventano una spesa difficile da sostenere. Ci sono adulti che non possono permettersi di guardare un film al cinema. Per alcune famiglie l’eccesso è prendere una pizza al taglio il sabato sera e mangiarla a casa. Fino a quando ci sembrerà normale?”. Il giornalista Riccardo Staglianò – che da quasi vent’anni scrive reportage e inchieste per il Venerdì di Repubblica – è partito anche da questa domanda per costruire il suo ultimo libro. “Hanno vinto i ricchi” (edito Einaudi) spiega come la lotta di classe abbia portato in trionfo, appunto, gli ultraricchi, complice anche una sinistra che ha perso la capacità di rappresentare il suo elettorato tradizionale. Ma la sentenza non è definitiva e i segnali di una reazione sono già visibili. La rotta può essere invertita.

Staglianò, partiamo dal dato citato sulla copertina del suo libro: gli stipendi in Italia negli ultimi trent’anni sono diminuiti, l’unico paese in Europa. Eppure nessuno si ribella. Perché?

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È come se ci fosse stata una resa, perché gli italiani sono troppo impegnati a sopravvivere. Il sociologo Antonio Schizzerotto nel libro racconta un punto di vista efficace per comprendere il concetto: se ti trovi in fila alla mensa della Caritas in attesa di un pasto, non pensi a fare la rivoluzione. Il tuo obiettivo è arrivare alla fine della giornata, poi alla fine della settimana e del mese. Andrea Morniroli della cooperativa Dedalus – una straordinaria realtà napoletana che aiuta le persone in difficoltà – si aspettava scoppiassero moti di piazza a Napoli con la soppressione del reddito di cittadinanza. Invece non è avvenuto nulla di tutto ciò, nonostante un’evidente insoddisfazione. Ha registrato invece un altro tipo di cambiamento: le famiglie hanno chiesto ai figli, anche minorenni, di cercare un lavoretto. È un’altra testimonianza che aiuta a comprendere il concetto: l’obiettivo è sopravvivere.

Il voto a Giorgia Meloni è un sintomo di questa rabbia fiacca?

In parte sì. Non c’è un grande paradosso in questa vicenda? Negli Stati Uniti alcuni anni fa è successo l’incredibile. I forgotten men, gli uomini dimenticati dell’America interna, quelli che avevano perso il lavoro, quelli che avevano visto le loro industrie penalizzate dall’economia, hanno votato un miliardario, con un curriculum che in ogni capitolo dimostrava come non gliene fregasse niente dei lavoratori. Nel passato Trump ha sfruttato la manovalanza, ma nonostante questa fama il popolo dei dimenticati lo ha scelto. Durante la campagna elettorale, si è presentato come una paladino pronto a proteggere queste persone, pronto a tutelare chi avesse subito le conseguenze della globalizzazione. Una volta al governo il suo impegno è stato diverso, ma la sua promessa recitata in pubblico ha comunque avuto il suo effetto. Con Meloni si è verificata una circostanza simile. La sua narrazione vincente è stata quella dell’underdog, di una concorrente partita svantaggiata da un quartiere non ricco, che da sola, con la propria forza di volontà, è riuscita a diventare la donna più potente d’Italia. L’elefante nella stanza è una sinistra che ha perso totalmente la capacità di rappresentare il suo elettorato tradizionale, ovvero la classe operaia o la classe lavoratrice.

Come ha fatto?

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Nel libro ci sono infiniti esempi di come la sinistra ha sbagliato tutto lo sbagliabile, rendendo se stessa una specie di copia scolorita della destra, anche nelle politiche fiscali. La parola “tasse” è diventata impronunciabile, un termine radioattivo. Chi lo tocca perde le elezioni. È vero che l’Italia ha una pressione fiscale decisamente alta rispetto al resto del mondo, ma solo perché una moltitudine di persone non le pagano. Siamo il paese dell’evasione fiscale più rampante. Dire in astratto “Non si alzano le tasse” non è un merito: per pagare lo Stato sociale, quindi per aiutare le persone in difficoltà, servono dei soldi. Quei soldi si prendono dalle tasse. E per non far pagare le tasse ai poveri bisogna far pagare di più le tasse ai ricchi.

Qui entra in ballo un altro termine che lei definisce kryptonite: la patrimoniale. C’è ancora terreno in Italia per permettere l’avanzata di questa legge o è qualcosa che deflagra nelle mani di chi la tocca?

Deflagra perché viene raccontata male, in maniera confusa, inducendo panico nell’elettorato. Bisogna chiarire subito una cosa: la patrimoniale non è per quelli che hanno una casa di proprietà che magari vale 700mila euro e hanno in più dei soldi da parte sino a raggiungere il milione. No, quelle persone non saranno mai toccate dalla patrimoniale. Una patrimoniale sensata, di cui si parla in tutto il mondo, riguarda chi ha un patrimonio in alcuni casi da 5 milioni in su. Possiamo tutti serenamente concordare sul fatto che chi ha un patrimonio di 5 milioni di euro è una persona che sta bene, chiedere a lui un piccolo contributo in più non ne scalfirà la ricchezza. La patrimoniale non è una spedizione punitiva nei confronti di chi ha avuto il talento o la fortuna di diventare molto ricco, si tratta piuttosto di ristabilire un minimo di equità sociale. Siccome il termine “patrimoniale” è diventato così connotato da somigliare a una bestemmia potremmo trovare un altro termine per indicarla. Chiamiamola tassa sulle giga ricchezze, forse un maquillage linguistico può essere utile.

“Salario minimo”è un altro argomento chiave, sventolato soprattutto dalla sinistra. Una strategia efficace?

Il reddito di cittadinanza è stato presentato come uno strumento di aiuto alla povertà – e in questo è stato formidabilmente efficace – ma era stato venduto anche come strumento in grado di facilitare la ricerca di lavoro, e in questo è stato un disastro assoluto. Nel contrastare la povertà, come il reddito di cittadinanza anche il salario minimo può essere d’aiuto. Secondo il governo esistono diversi contratti nazionali che già fissano la soglia minima dello stipendio anche oltre i nove euro, ma tanti lavoratori non sono coperti da contratti. Il salario minimo non è una misura risolutiva, ma è sicuramente un contributo.

Lei suggerisce di prevenire il problema con la predistribuzione: cosa significa?

Siamo arrivati a un livello di disuguaglianza così grave che la redistribuzione – ossia agire essenzialmente sulle tasse per spartire meglio la ricchezza – non basta più. Molti economisti in Italia, Maurizio Franzini fra tutti, sostengono la necessità di intervenire a monte. Bisogna investire sulla formazione, perché se investi sulla formazione ci saranno studenti che diventeranno lavoratori in grado di guadagnare meglio, perché hanno maggiori competenze. Bisogna investire sulle politiche attive del lavoro. Per lo stesso motivo bisogna far sì che i lavoratori entrino negli organismi di gestione delle imprese per cui lavorano. Bisogna favorire la partecipazione femminile alla forza del lavoro. Tutte queste azioni producono un cambiamento politico e culturale nel lungo periodo.

Come siamo arrivati a questo punto? Come hanno fatto i poveri a diventare ancora più poveri e i ricchi a diventare più ricchi?

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Con una lunga serie di azioni, cominciate negli anni ‘80, grazie alla strana coppia rappresentata da Margaret Thatcher in Gran Bretagna e da Ronald Reagan negli Stati Uniti. Il neoliberalismo da allora è diventata l’ideologia economica dominante. I suoi pilastri erano semplici: abbassare le tasse e schiacciare i sindacati, perché da ostacolo alla libera imprenditoria. È una politica fiscale che ha avvantaggiato i ricchi a scapito dei poveri. Perché se raccogli meno soldi con le tasse, hai meno soldi per pagare i servizi sociali, gli ospedali, le scuole. Nel libro approfondisco il tema, troppo complesso da riassumere in poche parole.

Che paese è l’Italia?

L’Italia è un paese con uno straordinario debito pubblico e con grandi risparmi privati. Le generazioni precedenti, che stavano molto meglio di quelle attuali, hanno accumulato denaro, per metterlo da parte. Ma quella dei miei genitori è probabilmente l’ultima generazione ad avere risparmi privati. Hanno aiutato i figli ultramaggiorenni, anche quarantenni e a forza di intaccare quel patrimonio, i soldi non ci saranno più. Poi c’è un altro dato strutturale dell’economia italiana: siamo un paese di proprietari immobiliari, la stragrande maggioranza degli italiani ha una casa di proprietà verosimilmente anche ereditata dai genitori, dai nonni. Questo è una specie di salvavita, che scongiura la possibilità di diventare senzatetto. Siamo diventati anche un paese di affittacamere.

È un modello sostenibile? Lei se lo chiedeva in tempi non sospetti in un libro uscito nel 2020, prima che il termine overtourism finisse sulla bocca di tutti: Airbnb è la nostra salvezza o la nostra rovina?

Come tante altre forme di ammortizzatori sociali, Airbnb ha funzionato per tamponare i salari bassi di una fetta di lavoratori, soprattutto giovani, che la sfangano affittando la casa dei genitori o dei nonni. Per alcuni professionisti di settori il crisi, il reddito principale è diventato quello derivante dall’attività di affittacamere. Porto il massimo rispetto per questa attività sostitutiva di reddito, ma non credo che questa possa essere la strategia di sviluppo di un paese. Il settore del turismo ha margini bassi, le persone che lavorano in questo campo professionalmente guadagnano poco. Per il nostro paese dovremmo invece immaginare un futuro di prosperità, bisogna ripensare alle politiche industriali: servono industrie che creino posti di lavoro, pagati bene. Non credo affatto che possa essere questo il destino che vogliamo per i nostri figli: consegnare a loro un futuro da affittacamere.

“Hanno vinto i ricchi”: è una sentenza definitiva?

No, non è una sentenza definita, il libro è intriso della speranza che le cose possano cambiare. Nel mondo si vedono dei piccoli bagliori di rivolta, che potrebbero sovvertire questo stato di cose. Io ovviamente auspico una rivoluzione incruenta, vorrei solo che la gente si rendesse conto di come è stata turlupinata in questi anni, anche da una sinistra che ha perso molto mordente. L’unica speranza è che anche gli italiani si arrabbino un po’ di più, perché le scorte dei risparmi privati dei genitori prima o poi finiranno. A quel punto potrebbero chiedere conto a una classe politica che in questi quarant’anni ha fatto molto poco per difendere il ceto medio.



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