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Dal focus sui requisiti burocratici, alla maggior chiarezza nell’oggetto sociale: come il DDL Concorrenza può ridefinire l’innovazione nelle startup italiane
Nel recente dibattito attorno al Disegno di Legge annuale per il Mercato e la Concorrenza (DDL Concorrenza), gran parte dell’attenzione si è concentrata sull’obbligo di un capitale sociale minimo di 20.000 euro e sull’assunzione di almeno un dipendente entro due anni per le startup innovative. Tuttavia, c’è una questione fondamentale che viene ignorata: l’oggetto sociale delle startup innovative. La normativa attuale prevede che l’innovazione debba essere prevalente, ma non esclusiva, nell’attività di queste imprese. Questo dettaglio permette a molte startup di presentarsi come innovative solo in parte, mascherando microimprese che continuano a svolgere attività ordinarie.
Se davvero si vuole promuovere l’innovazione in Italia, è necessario spostare il focus da requisiti burocratici come il capitale minimo a una maggiore chiarezza sull’oggetto sociale. Le startup dovrebbero essere costituite per dedicarsi interamente all’innovazione, senza che questa sia solo una componente aggiuntiva. La legge, invece, lascia spazio a una certa commistione con attività ordinarie. Rendere l’innovazione esclusiva nell’attività d’impresa consentirebbe di distinguere chiaramente chi fa vera innovazione da chi semplicemente approfitta delle agevolazioni riservate a questo settore.
Attraverso questo video si è espresso sul tema Marco Travaglini, CEO di Mama Industry: “20.000 euro di capitale sociale minimo obbligano ad essere startup innovative proprio perché probabilmente, oltre che per recuperare soldi, si vuole eliminare il problema delle microimprese che, in realtà, non sono vere startup. Se davvero volessimo togliere di mezzo queste microimprese, l’oggetto sociale dovrebbe essere esclusivamente innovativo. Il capitale sociale lo decide l’imprenditore in base a ciò che serve. Dall’altra parte, però, servono strumenti per supportare la fase iniziale, magari anche attraverso capitale“.
Un’opportunità mancata?
La nuova normativa, secondo il governo, ha lo scopo di selezionare le startup con maggior potenziale. Tuttavia, la preoccupazione principale è che queste misure possano ridurre il numero di beneficiari, con una stima di un taglio del 70% delle startup attualmente iscritte, portando a un risparmio di circa 10 milioni di euro. Più che un incentivo all’innovazione, sembra una strategia per limitare i costi. In un contesto già complesso per le piccole imprese, l’aggiunta di vincoli rischia di creare ulteriori ostacoli, soffocando la crescita di startup che potrebbero realmente portare innovazione.
Travaglini suggerisce anche soluzioni pratiche per favorire la crescita delle startup: “Lo Stato potrebbe entrare nel capitale dicendo: ‘Vuoi fare una startup innovativa? Tu metti il 50%, io il 50%, e fai solo innovazione con questa società’, piuttosto che concedere un finanziamento chirografario a tasso zero per i primi due anni, con un preammortamento lungo, che possa coprire anche gli stipendi, spesso trascurati, di amministratori e soci“.
Il DDL Concorrenza potrebbe rappresentare un passo avanti per regolamentare meglio l’ecosistema startup in Italia, ma solo se si affrontano le vere sfide del settore, e la questione dell’esclusività dell’innovazione nell’oggetto sociale deve essere una priorità. Senza un adeguato sostegno alle vere startup innovative, questa riforma rischia di essere un’occasione persa, ostacolando l’innovazione invece di incentivarla.
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