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I furbetti della Naspi hanno le ore contate? L’assenza ingiustificata non consentirà di ottenere più la disoccupazione.
La Camera sta esaminando proprio in questi giorni il decreto delegato in materia di lavoro e ha appena approvato il tanto discusso articolo 19, quello che qualifica come dimissioni volontarie l’assenza ingiustificata dal lavoro per oltre 15 giorni. Se la norma dovesse divenire legge, chi senza valide motivazioni non si presenterà più al lavoro al solo scopo di farsi licenziare, non potrà più ottenere (come avveniva finora) l’assegno di disoccupazione.
In questo modo, la maggioranza di Governo vuol abolire la pratica, ormai portata avanti da molti lavoratori, di spacciare come “licenziamento per giusta causa” un comportamento che, in realtà, potrebbe ben essere qualificato come atto di “dimissioni volontarie”. E, difatti, è il lavoratore che sceglie di non recarsi più in azienda senza fornire certificati medici, né chiedere permessi, ferie o congedi.
La verità è che tanto l’Inps quanto il Ministero del lavoro hanno, sino ad oggi, avallato tale comportamento, predicando che anche in caso di licenziamento per giusta causa – quello cioè determinato da un grave inadempimento del dipendente – è comunque dovuta la Naspi. Dunque, quale miglior modo per ottenere il sussidio statale se non rimanendo comodamente a casa, sulla poltrona?
L’opposizione ha subito contestato la norma, sostenendo che potrebbe riportare in auge il vecchio e deprecabile fenomeno delle dimissioni in bianco. Si tratta di una pratica un tempo assai diffusa: il datore di lavoro, al momento dell’assunzione faceva firmare al dipendente un foglio con le sue stesse dimissioni, per poi datarlo nel momento in cui se ne fosse voluto sbarazzare. In tal modo, il licenziamento appariva come un atto di dimissioni e non sorgeva il rischio di impugnazioni, ricorsi in tribunale e sonore condanne.
Per evitare tale prassi, è stato così introdotto l’obbligo di comunicare le dimissioni in forma telematica all’Inps, il che garantisce la “data certa” della comunicazione ed evita post-datazioni di fogli in bianco prestampati.
Ora la domanda è: la riforma che qualifica come “dimissioni volontarie” l’assenza ingiustificata rappresenta davvero un ritorno al passato? A nostro avviso, assolutamente no.
Potremmo dire che essa, nella sostanza, non fa altro che equiparare al licenziamento per giusta causa un comportamento – ossia l’assenza ingiustificata per oltre 15 giorni – che, sino ad oggi, era disciplinato solo dai contratti collettivi di lavoro. Due sono le principali conseguenze:
- si inverte l’onere della prova: d’ora in poi sarà il dipendente dimostrare le valide ragioni per cui non ha potuto comunicare i motivi dell’assenza al datore di lavoro. In passato, spettava a quest’ultimo la prova che, dietro l’assenza del lavoratore, si celava un atto di dimissioni volontarie, prova in realtà impossibile nella pratica;
- se il dipendente non fornisce tali prove, il suo comportamento verrà qualificato come dimissioni volontarie e questi non avrà più diritto alla Naspi, ossia all’assegno di disoccupazione. Solo in tale ipotesi, le dimissioni non dovranno essere comunicate all’Inps in forma telematica, essendo desumibili da un comportamento concludente. In tutti gli altri casi, invece, restano salve le regole precedenti che tutelano il dipendente da eventuali abusi da parte del datore. Insomma, non c’è ragione di preoccuparsi di un ritorno alle dimissioni in bianco.
La nuova disposizione, quindi, non cambia gli obblighi del dipendente né rende per lui più oneroso il dovere di comunicare al datore, anche informalmente, le ragioni della propria assenza. Del resto, la giurisprudenza ha sempre assegnato valore anche alle chat WhatsApp, messaggi audio e mail da cui si può evincere l’adempimento di tale onere.
In definitiva, la verità è che la riforma mira solo a contrastare i cosiddetti “furbetti della Naspi“, ossia coloro che, pur non volendo più lavorare per un’azienda, sono riusciti sino ad oggi a prendere la disoccupazione.
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