ANCONA Un bottino del valore di circa 66mila euro, vendendo illecitamente caschi da moto, bauletti e altri accessori. È la somma dell’appropriazione indebita (ancora da provare) che ha fatto finire a processo tre ex commessi di un negozio specializzato nella vendita di abbigliamento e accessori per moto. Stando all’accusa, in poco meno di un anno il trio avrebbe messo illecitamente le mani sul magazzino dello store, vendendo i prodotti e intascandosi i soldi. Ieri mattina è partito il dibattimento davanti al giudice Maria Elena Cola. È all’udienza del 5 marzo che il processo entrerà nel vivo, con l’audizione dei primi testimoni e l’eventuale discussione.
Il risarcimento
La società proprietaria del negozio, che ha punti vendita in tutta Italia, si è costituita parte civile, pretendendo come risarcimento la somma dell’appropriazione indebita contestata dalla procura. I commessi, due uomini di 30 e 33 anni e una donna di 44 anni, sono stati licenziati dopo la scoperta degli ammanchi. Le vendite illecite, stando a quanto ricostruito dalla procura, sarebbero iniziate subito dopo l’assunzione degli imputati, abbracciando un lasso di tempo che va da marzo 2021 a febbraio 2022.
La ricostruzione
In questo periodo, secondo gli inquirenti, i commessi – durante l’orario di lavoro – avrebbero trovato il modo di mettere le mani sui prodotti venduti dal negozio, in particolare quelli stoccati in magazzino. L’imputazione parla di caschi, bauletti e altri accessori per la moto. La merce sarebbe stata venduta, senza poi versare i soldi nelle casse del negozio. Ergo, il denaro sarebbe rimasto nelle mani dei dipendenti. O almeno è questa l’impostazione della procura. Come era stato scoperto l’inganno, che poi aveva portato al licenziamento per giusta causa dei tre commessi? Quasi per caso. A febbraio 2022 una cliente si era presentata in negozio, nella periferia dorica, per il reso di due caschi del valore complessivo di oltre 500 euro. La taglia era sbagliata. In store avevano scoperto che quei prodotti, in realtà, non erano stati formalmente venduti. O meglio, il documento che attestava l’uscita dal negozio di quei caschi non c’era. Perché alla cliente era stato rilasciato uno scontrino dove figurava solo una parte dei beni acquistati.
In quell’occasione, uno degli imputati – probabilmente vistosi scoperto del bluff – si era sentito male, finendo al pronto soccorso. Gli ex commessi non hanno scelto riti alternativi sicuri di poter smontare le accuse a dibattimento. Tra i difensori, gli avvocati Antonella Devoli, Roberto Regni e Maurizio Ballarini.
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