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Barbareschi ci prova con “Paradiso in vendita” e “En Fanfare” – A PUNTA DI PENNA – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni


Luca Barbareschi con il cast di “Paradiso in vendita” – Fonte: romatoday

Secondo appuntamento di “A Punta di Penna” con il Rome Film Fest 2024: in questa giornata un po’ uggiosa, invece di dedicarci a film impegnati e autoriali, abbiamo scelto la leggerezza concedendoci la visione di due commedie senza grandi pretese, anche se la seconda riesce a farci amare un po’ di più la musica.

“Paradiso in vendita”, più scontato di così…

Alla sua quinta regia, in concorso alla sezione Progressive Cinema, Luca Barbareschi si ispira ad un episodio di cronaca internazionale (nel 2015 il governo greco, pur di salvarsi dalla terribile crisi economica, arrivò addirittura a pensare di vendere alcune isole dell’Egeo) e gira tra gli splendidi paesaggi di Filicudi, immersi nel mare e nel sole, isola di cui è anche cittadino onorario. Trama: il governo italiano in bancarotta decide di vendere alla Francia l’immaginaria isola di Fenicusa, abitata da pochissime persone: i francesi mandano un loro emissario (un trafficone senza troppi scrupoli) per rilevare il luogo ed iniziare un programma di “francesizzazione” degli isolani, che ovviamente sono ben lungi dall’accettare, fieri della loro identità e delle loro radici.
Favoletta (come tale ci viene presentata nella primissima scena del film), simpatica, senza alcun brio, con gag trite e ritrite che suscitano qualche sghignazzo, colma di luoghi comuni internazionali, regionali, cinematografici e densa di cliché narrativi. Potrei anche fermarmi qui. Barbareschi ambisce a riprendere la tradizione della classica commedia all’italiana (niente di meno), ma si conferma semplicemente un buon intrattenitore (se avete due ore di tempo da perdere), ma molto superficiale. Non c’è una scena, che si dica una, che non sia già stata vista da qualche parte; in alcuni casi ricicla col pilota automatico situazioni comiche di derivazione, in primo luogo da Benvenuti al Sud e il suo omologo francese Giù al nord, (non per niente ci hanno messo soldi anche i francesi) e persino lo schema narrativo è identico e scontato: tizio antipatico e arrogante prende in giro gli ingenui e buonissimi paesani per poi lasciarsi rapire dal loro stile di vita semplice, trova pure l’amore con un’isolana (Donatella Finocchiaro, sensuale e bravissima come sempre, almeno questo), poi per un equivoco ridiventa stronzo, poi si pente, torna sull’isola e riscopre il bello della vita facendo il pescatore.
Perlomeno la prima parte strappa un po’ di risate a colpi di guerra di stereotipi di grana grossa tra francesi e italiani (anzi, siciliani), ma poi la seconda scade nella melassa più irritante. Per chi gradisce, ci sono i bellissimi scorci di Filicudi (in pratica, Barbareschi ha fatto uno spottone turistico).

“En fanfare”, quando la musica instaura un legame profondo

Il secondo film che abbiamo esaminato, francese e presentato all’ultimo Festival di Cannes, è la commedia di Emmanuel Courcon En fanfare, presentato per la categoria “Best of 2024“. La storia è quella di Thibaut, un celebre direttore d’orchestra parigino che, avendo urgente bisogno di un trapianto di midollo osseo a causa di una leucemia, scopre di essere stato adottato. Superato lo shock iniziale, accetta di incontrare il fratello mai visto, Jimmy, operaio nel paese di Walincourt nell’Alta Francia. Appurata la compatibilità, Jimmy dona il suo midollo a Thibaut. L’operazione riesce perfettamente, ma per i due questa è anche l’occasione per costruire il legame fraterno e fare i conti col passato, attraverso un inedito filo conduttore che li unisce geneticamente più di ogni altra cosa: la musica.
Temi come la paura della morte, l’urgenza di rimettere a posto le cose prima che sia troppo tardi, l’adozione, un passato che si rivela oscuro sono rapidamente trattati e liquidati nei primi 20 minuti (anche se poi ritornano nel sottofinale), dopodiché il regista preferisce concentrarsi sugli attori (Benjamin Lavernhe e Pierre Lottin, bravissimi) instaurando una commedia di rapporti affettivi e sociali con un sottile sottofondo drammatico e costruendo anche una serie di sottotrame, incentrate sui compaesani di Jimmy, che si auto concludono gradualmente prima di ritornare alla trama principale e terminare con una messinscena toccante. Poiché il tutto sa di dejà vu, Courcol è bravissimo ad aggirare le trappole sentimentali, si concentra molto sui caratteri e la psicologia dei protagonisti senza calcare troppo la mano e riesce a rendere verosimile il saldamento del loro legame seppur divisi già dai loro contesti sociali (Thibaut è figlio della Parigi bene, mentre Jimmy è un minatore e componente della banda municipale) con dei bellissimi intermezzi musicali che giocano un ruolo fondamentale nello svolgimento della trama (due chicche: Thibaut che dimostra a Jimmy come la marcia dell’Aida di Verdi, cambiandone tempi e note, si possa mutare in boogie-woogie, e il finale con Jimmy che dirige la banda facendo cantare il “Bolero” di Ravel, tanto amato dal fratello.
Ogni tanto assistiamo alle solite schermaglie scatenate dalle differenze sociali, ma molto spesso i momenti si sciolgono in tarallucci e vino. Escamotage abusato, certo, ma che non guasta e non mette mai in secondo piano le capacità interpretative e musicali dei due protagonisti. Promosso.




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