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Inflazione alle Stelle: il Misterioso Silenzio della Cina! #finsubito prestito immediato


Da una svolta radicale a una crisi di nervi, in meno di un trimestre. E tutto questo sembra essere avvenuto senza passaggi intermedi. L’ultimo dato sugli impieghi non agricoli negli Stati Uniti ha sorpreso ancora una volta. Dopo la delusione di luglio, ecco una crescita inaspettata a settembre. Una crescita senza precedenti. Qual è stato il risultato pratico? Ha reso completamente superfluo il massiccio taglio dei tassi operato dalla Fed appena quindici giorni fa.



Ricominciamo da zero. Un’enorme girandola a vantaggio dei mercati azionari. Forse un giorno lo comprendere. Analizziamo i dettagli. Guardiamo a questo grafico, che pone in prospettiva la situazione e conferma la natura manipolatoria di quasi ogni dato relativo all’occupazione che proviene dalla fabbrica di numeri del Dipartimento del Lavoro degli USA (Bls).



A settembre, negli Stati Uniti sono stati assunti 785.000 nuovi lavoratori statali, un numero che sembra uscito dalla Calabria dei forestali, ben lontano dall’ideale di libero mercato. È il record assoluto su base mensile, sia stagionalizzato che non. Non dimentichiamo che tra un mese ci sono le elezioni. Ora, analizziamo il vero indicatore di questo inganno colossale. Vediamo queste cifre, la sorprendente impennata dei rendimenti obbligazionari seguita al dato record di settembre.

Questi sono i rendimenti su tutte le scadenze dei titoli di Stato USA alla chiusura delle contrattazioni di venerdì scorso. La Fed taglia i tassi e fa molto rumore. Il mercato, silenziosamente, reagisce al rialzo. Pensiamo a un broker ipotecario o a un agente immobiliare. Cosa faranno, considerato che il tasso a 30 anni, il benchmark per il settore immobiliare, è salito di 40 punti base a soli dieci giorni dal taglio di 50 punti della Fed? Molti, probabilmente, spingeranno per un’azione immediata, cercando di convincere tutti che questo è il momento di acquistare, prima che le cose peggiorino. Che successo per la Fed! E le previsioni sui futures sembrano indicare tempi difficili all’orizzonte.

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La settimana scorsa, la probabilità di un ulteriore taglio di 50 punti base a novembre era del 53%. Subito dopo i dati sugli impieghi, queste possibilità sono crollate al 2%. E cosa possiamo dedurre dai +22 punti base sui Treasury a 2 anni? O forse l’unico tasso che conta è quello a un mese, quello che diventa critico quando l’Asia chiude, l’Europa apre e Wall Street inizia a manipolare? Perché quel titolo rappresenta una sorta di bancomat per la liquidità a brevissimo termine, un repo domestico.

Cosa farà ora Jerome Powell? Questo balzo sembra preannunciare un ritorno dell’inflazione nel breve termine. Un colpo di coda. Curiosamente, lo stesso movimento che le principali banche centrali – Fed, BCE, BOC, BOE e BOJ – stanno preannunciando come quasi certo, sebbene transitorio. E chissà, forse Powell, parlando a inizio settimana da Nashville, aveva già intuito un possibile boom occupazionale? In sostanza, la Fed chiede e il Bls consegna puntualmente a domicilio. Il Glovo della manipolazione dei dati.

Dal qui al 5 novembre, sarà necessario usare i guanti da cucina, come quando si toglie una pentola dal fuoco. Perché la variabile petrolio potrebbe accelerare quel rinculo dell’inflazione. E bloccare tutto. Forse anche le regolamentazioni – Basilea 3 in testa, ormai sulla soglia della questione legata al collaterale USA – che potrebbero creare attrito con una situazione nuovamente emergenziale. Ve lo dico da tempo, il sistema si regge solo grazie alle emergenze. Guerre. Pandemie. Crisi commerciali scatenate da dazi o sanzioni. L’importante è innescare una reazione immediata, qualcosa che disturbi le dita stanche di chi digita su tastiere ‘autorevoli’. Bastano 24 ore. Al massimo, 48. Poi, nessuno sarà più interessato. Il messaggio sarà stato trasmesso, l’alibi servito pronto all’uso.

Ormai sembra una serie di Netflix, con poca fantasia. Ma forse, questa volta, con un finale che potrebbe riscattarla. Perché immagino abbiate notato il silenzio tombale proveniente dalla Cina in materia geopolitica. Pechino si sta muovendo solo sul fronte economico-finanziario, stimolando movimenti che continuano a spingere gli indici azionari verso l’alto. Oggi riaprono anche i mercati interni, con Shanghai in prima linea. Dopo la Golden Week, che ha lasciato attiva solo Hong Kong, oggi avremo un assaggio di ciò che ci attende. Le banche centrali occidentali e quella giapponese stanno operando in una modalità designata per evitare un crollo azionario. La Fed, in particolare, è costretta a tenere insieme un vaso ormai in frantumi fino al 5 novembre. Altrove si pensa in altri termini. Altrove, soprattutto, ci si è caricati di hard assets: oro, petrolio, terre rare. E ora anche argento. Se anche il mondo delle equities dovesse esplodere, Pechino avrebbe le spalle coperte.

In effetti, potrebbe anche essere tentata da questa anteprima del mondo che verrà. Un mondo in cui gli swaps sono valutati per quello che sono: carta, spesso senza garanzia. Mentre un lingotto d’oro o un barile di petrolio avranno sempre un valore. Ora che anche il numero uno di Eni lo ha implicitamente confermato, ci credete? Fate attenzione a chi chiederà interventi della BCE o la utilizzerà come capro espiatorio per giustificare manovre dolorose, chiaramente dipinte come richieste dall’Europa. La BCE al momento può solo fare danni. L’unica cosa che conta è il reinvestimento dei titoli del Pepp. E per ottenerlo, dobbiamo ratificare la riforma del Mes. Il resto sono solo chiacchiere e cortine fumogene. Proprio come quel taglio di 50 punti base della Fed.

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Tags: Inflazione

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