La legge di Bilancio per il 2025 prevede alcune importanti novità per i lavoratori. Coloro che su base “volontaria” decideranno di restare al lavoro anche dopo avere raggiunto l’età pensionabile, godranno di un sostanzioso “incentivo fiscale”. A quanto pare, esso andrebbe a sommarsi al bonus Maroni, che ha visto di recente scarse adesioni e che prevede la decontribuzione per la quota a carico del dipendente. Nella Pubblica Amministrazione sarà consentito rimanere al lavoro fino a 70 anni, indipendentemente dall’età massima fissata per ciascuna categoria.
Occupazione record, ma ancora bassa
L’obiettivo di questa riforma è evidente: allungare l’età pensionabile e aumentare il numero dei lavoratori attivi. Il mercato del lavoro italiano sta migliorando visibilmente negli ultimi anni. Il tasso di occupazione si è portato sopra il 62% e il numero degli occupati ha finalmente sfondato la soglia dei 24 milioni. Ma nel confronto internazionale restiamo in fondo alla classifica. C’è scarsa occupazione giovanile e femminile. Inoltre, a dispetto dell’età pensionabile ufficiale di 67 anni, in media continuiamo ad andare in pensione a 64 anni e 2 mesi. Ciò è possibile grazie alle numerose scappatoie previste dalle altrettanto numerose eccezioni fissate dalla legge.
La nuova frontiera delle riforme consiste già nello spingere gli italiani a restare al lavoro fino a 70 anni, seppure senza costrizioni. C’è un ostacolo: in pochi intendono accettare. E se il legislatore non riuscirà a capirne le ragioni, probabilmente non ne ricaverà mai un ragno dal buco. Il primo scoglio è legato al deperimento fisico dei lavoratori. Sopra una certa età non è possibile, né consigliabile svolgere determinate mansioni che comportino il dispendio di energie psico-fisiche. Pensate a chi sta sopra un ponteggio o a chi coltiva la terra o ancora a chi scava in miniera.
Più facile restare al lavoro per impiegati
Grosso modo, le mansioni impiegatizie si prestano maggiormente alla permanenza al lavoro fino a 70 anni.
Un docente universitario troverà forse appagante continuare ad insegnare, così come il ragioniere in un ufficio a gestire la fatturazione. Non che non siano lavori faticosi, ma è cosa diversa che lavorare sotto sole e pioggia. Ma c’è un altro elemento che limiterà le occasioni per sfruttare gli incentivi previsti dallo stato: la scarsa gratificazione sul posto di lavoro. E’ un fenomeno che riguarda sia i dipendenti del settore privato che quelli pubblici. Ed è conseguenza a sua volta di retribuzioni non appetibili e di scarsa identificazione con la realtà in cui si lavora.
Mettetevi nei panni di un dipendente pubblico, magari collocato da decenni in un ufficio per una mansione che egli stesso ritiene essere scarsamente utile e produttiva. Manca il piacere di andare avanti, non vedrà l’ora di poter andare in pensione e magari per dedicarsi ad altro. In molte imprese private, specie di piccole dimensioni, il discorso non è molto dissimile. Bassi stipendi e incapacità del datore di coinvolgere anche emotivamente il dipendente nell’attività determinano una scarsa identificazione in quest’ultima.
Lavoro a 70 anni con gratificazione personale
Restare al lavoro fino a 70 anni non è una bestemmia in una società che per fortuna invecchia e in cui la terza età si sposta sempre più in avanti. Tuttavia, esistono limiti dettati dalle condizioni psico-fisiche e anche dalle condizioni del lavoro. Non è un caso che a rinviare il pensionamento siano di solito le partite iva, cioè coloro che gestiscono il lavoro da sé, nonché i livelli alto-impiegatizi. E che gli stessi operai, una volta andati in pensione, spesso si dedichino ad altre attività, magari in nero per via dei divieti legali o per non perdere benefici sull’assegno. Il più delle volte non manca la voglia di lavorare, bensì la soddisfazione che se ne trae.
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