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«È un gigolò, chiamatelo». Lui la perdona La Nuova Sardegna #finsubito richiedi mutuo fino 100%


Sassari Una volta era arrivata a scrivere su un quaderno che si trovava all’interno di una lavanderia – dove l’ex marito era solito servirsi e nel quale andavano moltissimi clienti – questa frase: «Cerco ragazza per serate romantiche, sono carino, sex e con moltissimi soldi…». Aveva poi inserito professione e luogo di lavoro, nome e numero di telefono di lui, e aveva aggiunto: «Contattatemi, vi prego. Sono un ragazzo serio di buona famiglia, separato».

Una ex moglie era finita a processo – per questa e altre condotte, tipo frasi diffamatorie su Facebook – davanti al giudice Claudia Sechi. Chiamata a rispondere di atti persecutori e diffamazione. Ma, proprio per via di quel volantino lasciato in lavanderia, la Procura le aveva contestato anche la violazione di quanto disposto dall’articolo 23 del decreto legislativo 196/2003 in riferimento al trattamento dei dati personali (sensibili) senza il consenso espresso dell’interessato. E nel biglietto in questione i dati sensibili c’erano tutti: nome, numero di telefono, età, professione, addirittura anche il luogo di lavoro.

Ma alcuni giorni fa l’uomo – assistito dall’avvocato Antonio Secci – ha confermato in aula di voler rimettere la querela nei confronti della ex moglie. Non perché nel frattempo abbiano fatto pace o siano tornati insieme (lui sta con un’altra donna ora) ma per voler definitivamente chiudere una pagina dolorosa della vita. Di entrambi.

Si tratta di uno dei pochi casi di atti persecutori che approdano in tribunale e che vedono la donna imputata e l’uomo persona offesa. In questa storia lo stalking da parte di una 43enne era cominciato dopo la separazione dal coniuge. Un lungo periodo fatto di minacce, telefonate, offese continue, denunce su fatti spesso inventati per mettere nei guai l’uomo. Quest’ultimo, da parte sua, non avrebbe versato l’assegno di mantenimento per la figlia minorenne e durante un incontro avrebbe minacciato l’ex moglie. E così si erano denunciati a vicenda.

Ecco perché nel procedimento apparivano entrambi nelle vesti di imputati e persone offese. L’avvocato difensore di lui, però, durante il processo ha prodotto le copie dei bonifici che l’uomo avrebbe eseguito.

Il reato più grave era stato contestato a lei. La donna, tra le altre cose, avrebbe «in più occasioni – scriveva il pm nella richiesta di rinvio a giudizio – diffamato l’ex marito su Facebook attraverso la pubblicazione di frasi e messaggi dal contenuto denigratorio». Sia telefonicamente che mediante messaggi «proferiva asserzioni false sui comportamenti e sull’operato dell’uomo, nonché affermava falsamente di essere minacciata di morte dall’ex marito». C’erano poi le offese alla nuova compagna di lui e la minaccia che le avrebbe fatto «scoppiare la casa». In un’altra circostanza la donna avrebbe minacciato al telefono l’ex dicendogli che «avrebbe nascosto della sostanza stupefacente nella stanza dell’abitazione familiare dove lui era rimasto a vivere, al solo scopo di “metterlo nei guai”.

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Ma la vicenda giudiziaria ora può dirsi chiusa per entrambi. Il giudice ha solo rinviato per eventuali repliche ma essendo lo stalking reato procedibile a querela di parte, ed avendo l’ex marito rimesso la querela, non andrà avanti. Quanto alla contestazione relativa al mancato pagamento degli assegni di mantenimento – oltre alle ricevute dei bonifici esibite dalla difesa – la donna, sentita in aula, aveva ridimensionato le accuse.

© RIPRODUZIONE RISERVATA



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