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Il governo rinuncia all’obiettivo di garantire un posto in asilo nido ogni tre bambini in tutta Italia. Il Sud resta indietro #finsubito prestito immediato


Il governo cancella l’impegno di garantire in tutta Italia la disponibilità di almeno un posto in asilo nido ogni tre bambini sotto i tre anni. Un obiettivo che tutti i Paesi europei avrebbero dovuto raggiungere nel 2010 e che Roma nel Piano nazionale di ripresa e resilienza aveva promesso di centrare entro il 2026. Come è noto, sul fronte dei servizi all’infanzia il Pnrr ha registrato vari intoppi e ritardi. Ma l’anno scorso, quando ha rimodulato il documento riducendo da 264mila a 150mila i nuovi posti nei servizi educativi per la fascia 0-6 anni, l’esecutivo ha garantito che i progetti esclusi sarebbero stati finanziati con risorse nazionali. Ora, nelle tabelle allegate al Piano strutturale di bilancio inviato alla Ue la settimana scorsa, il ministero dell’Economia fa marcia indietro: se il target nazionale che prevede una disponibilità di posti pari ad almeno il 33% del numero di bimbi under 3 viene confermato a fine 2027, si aggiunge che “a livello regionale” la disponibilità di posti potrà fermarsi al 15%. “Al Sud non c’è più il diritto di raggiungere la media nazionale”, commenta su X l’economista Gianfranco Viesti.

Perché sono le regioni meridionali, in particolare Sicilia, Campania e Calabria, quelle messe peggio rispetto al target del 33%. Che era stato confermato anche dalla legge di Bilancio per il 2022 in cui per la prima volta, nel definire la destinazione del Fondo di solidarietà comunale, è stato fissato un livello minimo di posti “equivalenti in termini di costo standard al servizio a tempo pieno dei nidi” da garantire in tutta la Penisola fino a raggiungere gradualmente il 33%. Livello che Centro e Nord almeno per la fascia 0-2 anni hanno raggiunto ampiamente, spiega il Report sui servizi educativi per l’infanzia pubblicato il 17 ottobre dall’Istat, mentre al Sud e nelle Isole anche comprendendo il settore privato “la media dei posti per 100 bambini residenti è di 17,3 e 17,8″. Meno della metà rispetto al Centro (38,8) e al Nord-est (37,5), dove spiccano casi virtuosi come quello dell’Umbria che ha addirittura già superato l’obiettivo europeo del 45% entro il 2030 e dell’Emilia Romagna che è molto vicina ad arrivarci.

Per le senatrici dem Susanna Camusso e Simona Malpezzi quel 15% inserito nel Psb dimostra come “a questo governo non interessi nulla di promuovere servizi educativi e di sostegno al welfare familiare, soprattutto nelle aree più fragili del Paese”. Nonostante l’enfasi della premier Giorgia Meloni e del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sulla necessità di promuovere la natalità. La scelta si intreccia con la riforma Calderoli sull’autonomia differenziata, proseguono Camusso e Malpezzi, perché in questo modo viene di fatto smantellato l’unico “livello essenziale di prestazioni” definito finora “e adesso sarà molto più facile approvare nuovi Lep meno ambiziosi e sottofinanziati”. “Prendiamo atto che questo governo sceglie con cognizione di causa di penalizzare proprio le regioni già sofferenti”, aggiunge il senatore M5S Pietro Lorefice.

Il Recovery plan ha destinato al potenziamento dell’offerta educativa nella fascia 0-6 “attraverso la costruzione di nuovi asili nido e nuove scuole dell’infanzia o la messa in sicurezza di quelli esistenti” 3,2 miliardi di euro. L’ultima relazione del governo sullo stato di attuazione del piano, pubblicata a luglio, dopo aver ricapitolato l’andamento dei bandi licenziati a partire dal 2021 ricorda che solo sei mesi fa il ministero dell’Istruzione ha emanato un altro avviso destinato ai Comuni per la realizzazione e costruzione di nuovi asili. A disposizione c’erano 734,9 milioni frutto di precedenti rinunce, definanziamenti e mancate assegnazioni. Obiettivo, realizzare 30mila ulteriori posti destinati alla fascia di età 0-2 anni. Almeno il 40% delle risorse è stato riservato agli enti del Mezzogiorno. Sono stati selezionati 838 interventi, che si aggiungono ai 2.500 già finanziati. I lavori dovrebbero essere aggiudicati entro il 31 ottobre. Ma il Mef, stando al contenuto del Piano strutturale, non spera che basti per colmare il divario tra Nord e Sud.



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