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inutilizzate per mancanza di personale e l’età media delle apparecchiature è superiore ai 10 anni #finsubito prestito immediato


Le liste di attesa che affliggono la sanità italiana sono anche il frutto avvelenato di apparecchiature per la diagnostica con un’età media di 10 anni, spesso anche 15, e al contempo di un utilizzo poco efficiente, perché invece di lavorare a pieno regime, spesso funzionano per poche ore al giorno. Motivo: mancano soprattutto i tecnici e gli infermieri, ma anche i radiologi. Con il Pnrr è in corso un rinnovamento importante visto che sono arrivati finanziamenti per 1,2 miliardi di euro per acquistare 3.200 macchine di ultima generazione. C’è solo un problema: in parallelo non c’è rafforzamento alla voce personale e, dunque, se c’è stato sotto utilizzo in passato, ci sarà anche nell’immediato futuro.

OBSOLESCENZA

Per usare una metafora molto approssimativa: un’azienda di trasporti può rinnovare la flotta con bus fiammanti e moderni, ma se non ci sono abbastanza autisti poi resteranno comunque troppo a lungo in garage. L’obsolescenza, che già interessa le apparecchiature ereditate del passato, rischia di diventare uno spettro neanche troppo lontano anche per quelle nuove. La manovra, che ha rinviato di un anno l’avvio di 30mila assunzioni, non aiuta. Morale: poco personale e mancanza di risorse per le strutture rischiano di vanificare gli sforzi. Dal punto di osservazione romano il professor Gianfranco Gualdi, specialista in Radiologia diagnostica e già direttore dell’unità operativa di Radiologia d’urgenza al Policlinico Umberto I fa questa sintesi: «Non sfruttiamo al meglio i macchinari che abbiamo perché nelle strutture pubbliche non c’è personale sufficiente. Così si tagliano gli orari e non si danno risposte ai cittadini. Si tratta di uno spreco di risorse evidente». Il settore privato riesce a ottimizzare l’utilizzo delle apparecchiature, usandole a pieno regime, il pubblico invece lo fa solo in parte e questo rischia di fare pendere la bilancia a sfavore del sistema sanitario nazionale. Giovanni Migliore è il presidente di Fiaso, la federazione che riunisce le aziende sanitarie e ospedaliere e dunque ha un punto di osservazione privilegiato: «La situazione in Italia è quanto meno a macchia di leopardo. In alcune aree si riesce a garantire un prolungamento degli orari del funzionamento di questi macchinari, ma in tante altre no. Le procedure di acquisto delle 3.200 apparecchiature di diagnostica primarie che arriveranno grazie ai fondi del Pnrr – aggiunge – saranno completate il prossimo anno. Ad oggi ne sono state installate la metà». Perché siamo in ritardo? Risposta: «Quando si compra una grande apparecchiatura, non è semplice la sua messa in funzione. Servono lavori per adattarla alla struttura. E c’è stato anche un ragionamento sulla revisione prezzi e per questo le gare hanno avuto una difficoltà. C’è stato uno slittamento di un anno, ma entro il 2026 saranno tutte pronte». Il problema che abbiamo però – sia con le macchine vecchie sia con le macchine nuove – è che non funzionano a pieno regime. Altro che laboratori aperti anche nei fine settimana. «Anche se – precisa Migliore – la situazione non è la stessa in tutta Italia. Detto questo, il problema del personale esiste. Abbiamo una finestra temporale che durerà due-tre anni perché i professionisti sulla cui formazione abbiamo investito entreranno in servizio in quel periodo di tempo. In passato è stata sbagliata la programmazione. E più dei radiologi, mancano i tecnici che sono fondamentali ovviamente».

I NODI

In attesa che si completi il rinnovamento delle apparecchiature di diagnostica, in Italia c’è una strumentazione vecchia. I dati sono del 2021 e sono stati diffusi da Confindustria Dispositivi Medici e riguardano le 37mila apparecchiature presenti in Italia. Alcuni casi estremi: hanno più di 10 anni il 92 per cento dei mammografi convenzionali, il 96 per cento delle Tac, il 91 per cento dei sistemi radiografici fissi convenzionali. Secondo un’analisi del Sindacato nazionale area radiologica l’obsolescenza riguarda circa il 73 per cento dei mammografi tradizionali presenti nel Centro Sud. «E negli ospedali – aggiungono – c’è un problema di ricambio generazionale anche tra i radiologi visto che l’età media è di 57 anni». In sintesi: in Italia non c’è una carenza numerica di apparecchiature, ma sono vecchie e funzionano a singhiozzo. Ora c’è in corso un rinnovamento importante, grazie ai fondi del Pnrr, ma avrà un impatto positivo limitato, perché il personale non aumenta, anzi il ricambio di chi va in pensione si è incagliato. Ed è arduo incrementare il numero delle prestazioni.

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