VIBO VALENTIA Le mani della ‘ndrangheta sulla pesca e i modi per eludere controlli sulle “quote” da rispettare. Il collaboratore di giustizia Antonio Accorinti, membro dell’omonima consorteria che opera tra Zungri e Briatico, parla in aula degli interessi criminali nella pesca e nel mercato ittico vibonese. Dalle barche che entrano ed escono dal porto, alla quantità di tonno raccolto dei pescatori. Già in passato il pentito aveva rilasciato dichiarazioni sugli interessi della ‘ndrangheta nei porti vibonesi, soprattutto in ambito turistico sul triangolo Vibo Marina, Briatico e Tropea, dove opera la ‘ndrina dei La Rosa. Indagini che avevano anche portato al sequestro di un motoscafo utilizzato per le escursioni turistiche sulla Costa degli Dei.
L’avvicinamento al settore della pesca
Ascoltato dalla presidente del collegio giudicante Giulia Conti, con giudici a latere Luca Brunetti e Rosa Maria Pisano, l’esponente degli Accorinti racconta questa volta di incontri e dinamiche criminali nel mercato ittico. Un settore a cui il collaboratore si era avvicinato dopo la fine del divieto di dimora: «Ho iniziato ad andare a pesca, cosa che non avevo mai fatto precedentemente, tramite un’autorizzazione del Tribunale ho intrapreso questa nuova “attività lavorativa”». Già prima, però, sarebbe sorto «qualche problema relativo alla pesca dei tonni». «C’erano delle barche – racconta Accorinti – che erano autorizzate a pescare dei tonni, avevano una quota oltre cui non potevano pescare».
I modi per eludere i controlli sulle “quote”
Il collaboratore racconta «la brillante idea» che avrebbero avuto alcune di queste grandi imbarcazioni, ovvero «di scaricare, prima di arrivare al porto, i tonni comunque pescati in più, quelli fuori quota, a delle imbarcazioni piccole che poi, nel caso in cui faccio riferimento io, li portavano al porticciolo di Briatico». In pratica, un “servizio” offerto ai pescatori per eludere i controlli nel porto di Vibo Marina, al quale si sarebbe prestato, secondo le parole del collaboratore, anche Marco Greco, soggetto di Briatico tra gli imputati nel processo. «Avendo un motoscafo, aveva effettuato questo trasporto di tonni da queste navi e altrettanto fece mio zio con una barca da pesca». Finché, una volta scarcerato lo stesso Accorinti, non sarebbe stato avvicinato da Simone Melluso, con il quale avrebbero avuto «un battibecco perché mi dissero di avvertire mio zio di non fare più questo lavoro perché doveva farlo Marco Greco». Perché lui, aggiunge Accorinti, «voleva l’esclusiva di questo lavoro e che nessun altro si doveva intromettere». Tanto che avrebbe avuto anche «battibecchi con altri pescatori della Marina di Briatico, che l’aveva minacciati affinché non svolgessero questa attività».
I «battibecchi» con altri pescatori
In alternativa, lo zio avrebbe dovuto pagare una percentuale: «Greco gliel’aveva detto, se no mi dai la percentuale, perché ho preso io impegni con queste barche e questo lavoro lo devo fare io». Una richiesta non accolta da Accorinti, il quale avrebbe ulteriormente invitato lo zio a «continuare a farlo», nonostante le pressioni arrivate dal clan Melluso. «In poche parole gli dissi che mio zio avrebbe fatto quello che voleva» continua nel racconto il collaboratore. Gli stessi disguidi Greco li avrebbe avuti con «un ragazzo disabile, che aveva un barca all’interno del porticciolo di Briatico» e che avrebbe svolto il lavoro diverse volte per qualche grande imbarcazione che lo chiamava, generando «battibecchi» con Greco che «pretendeva questo lavoro». (Ma.Ru.)
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