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15 misure cautelari e 8 milioni di euro sequestrati #finsubito prestito immediato


12 Novembre 2024, di redazione


Frode fiscale, maxi operazione della Finanza anche nel Viterbese: 15 misure cautelari e 8 milioni di euro sequestrati

Homepage 120 i finanzieri impegnati per l’esecuzione dell’ordinanza nelle province di Caltanissetta, Messina, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza, Vibo Valentia, Napoli, Roma, Viterbo e Varese.



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Frodi fiscali con false fatture, l’operazione della Guardia di Finanza di Catania che ha portato a 15 misure cautelari e al sequestro di 8,2 milioni di euro di beni passa anche per Viterbo.

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120 i finanzieri impegnati per l’esecuzione dell’ordinanza nelle province di Caltanissetta, Messina, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza, Vibo Valentia, Napoli, Roma, Viterbo e Varese. L’inchiesta della Procura di Catania vede 29 indagati per un presunto sistema di somministrazione fraudolenta di manodopera e di frode fiscale tramite l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Carcere per due degli indagati, gli arresti domiciliari per altri quattro e una misura interdittiva per i restanti nove. I reati ipotizzati sono, a vario titolo, associazione per delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti (Foi), dichiarazione dei redditi infedele e fraudolenta e indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti.

I profitti. Al centro dell’inchiesta della Procura di Catania l’attività di imprese del settore turistico-alberghiero di Sicilia, Calabria e Lazio. Negli ultimi 5 anni il giro di fatture false legato al sistema di frode, sostiene l’accusa, nel suo complesso sarebbe stato pari a oltre 56 milioni di euro di imponibile e oltre 13 milioni di Iva, garantendo profitti illeciti all’associazione a delinquere per oltre 8 milioni di euro, la metà dei quali sarebbe stata distribuita agli organizzatori del sistema sotto forma di compensi professionali, stipendi, rimborsi spese.

Il meccanismo di frode. Il presunto meccanismo di frode, emerso dalle indagini della Guardia di finanza, si sarebbe basato su uno schema operativo ricorrente: la costituzione di entità giuridiche in forma di consorzi e società consorziate (oltre 26 susseguitesi nel tempo distribuite tra le province di Milano, Firenze, Roma, Catania e Messina), tutte prive di una propria organizzazione, di mezzi e senza l’assunzione di alcun rischio d’impresa, aventi di norma un ciclo di vita molto breve durante il quale avrebbero accumulato, senza onorarli, ingenti debiti tributari.

Secondo l’accusa, i soggetti giuridici, legalmente rappresentati da prestanome, spesso nullatenenti e privi di competenze, avrebbero operato come meri serbatoi di manodopera utilizzati esclusivamente per assumere un numero elevatissimo di lavoratori, per la maggior parte provenienti dalle aziende divenute clienti, per poi metterli a disposizione proprio di queste ultime sotto forma di appalto di servizi fittizio. In realtà, sarebbe emerso dalle indagini, i lavoratori non avrebbero mutato né sede lavorativa, né qualifica, rimanendo, di fatto, alle dipendenze dell’originario datore di lavoro per continuare a svolgere le proprie ordinarie mansioni.

Lo scopo. Lo scopo, contesta la Procura di Catania, sarebbe stato dunque quello di esternalizzare, solo in apparenza, la forza lavoro, in modo da conseguire diversi vantaggi. Inoltre la stipula (solo formale) di un contratto di appalto avrebbe consentito alle clienti di detrarre l’iva applicata in fattura (non genuina) relativa ai “presunti servizi” erogati. Gli ideatori del “sistema consorzio” avrebbero ottenuto ingenti profitti illeciti derivanti dal mancato pagamento allo Stato dei debiti erariali (per imposte e contributi) maturati dal consorzio e dalle consorziate, neutralizzati attraverso indebite compensazioni con crediti Iva inesistenti derivanti dal simulato acquisto di beni strumentali da società “cartiere”. Quest’ultima operazione sarebbe stata essenziale nella filiera del sistema perché, beneficiando di compensazioni con crediti inesistenti, le consorziate avrebbero potuto certificare al cliente finale di avere “correttamente” assolto agli obblighi di versamento, fornendo la certificazione di regolarità contributivo ovvero il modello Durc.

 

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