“L’aspetto più inquietante è che, anche qui da noi, è iniziato un fenomeno già emerso in altre realtà. Ci sono infermieri che, nonostante la professionalità sviluppata, escono dall’Ordine perché cambiano lavoro, vanno a fare qualcosa di completamente diverso. Salvo casi particolari e rarissimi, non era mai accaduto”. Così Sandro Di Tuccio, presidente di Opi Macerata, lancia l’allarme sulla carenza di infermieri nella provincia marchigiana su il Resto del Carlino.
“L’Italia – dice Di Tuccio – è il Paese Ocse con meno infermieri per 1.000 abitanti: 6,4, contro una media europea di 9,5, ed è fanalino di coda (sempre nell’Ocse) per laureati in infermieristica ogni 100mila abitanti: solo 17 contro una media di 48. Le Marche e la provincia di Macerata riflettono la situazione italiana. Le carenze sono significative”.
Continua Di Tuccio: “In tutta la regione mancano circa 1.500 infermieri, 200 dei quali in provincia di Macerata. I vuoti non sono tanto negli ospedali, dove pure i problemi non mancano, ma nelle strutture socio sanitarie territoriali, soprattutto, nelle Rsa e case di riposo. Gli infermieri iscritti all’Albo della provincia di Macerata sono 2.350, una trentina dei quali lavorano all’estero. Ogni anno a Macerata si laureano in infermieristica 70 persone, un numero al di sotto delle necessità, tenendo conto anche del fatto che una parte di questi si sposta a lavorare altrove”.
Che cosa sta succedendo? “Succede che questa professione non attrae più – spiega Di Tuccio -. Fare l’infermiere è difficile, complesso, e richiede enormi sacrifici familiari e sociali per una retribuzione ben al di sotto di quella di altri lavori, diciamo così, meno impegnativi. Non c‘è da stupirsi, dunque, se poi i giovani scelgano altro”.
Cosa si può fare? “La soluzione – risponde Di Tuccio – non è importare infermieri stranieri. Intanto servono agevolazioni sulle tasse universitarie, tra le più care di tutte le facoltà. E poi è necessario ripensare i percorsi universitari per renderli più attrattivi attraverso una revisione delle lauree magistrali, individuando – per iniziare – tre aree di sviluppo specialistico (cure primarie, cure pediatriche e neonatali, cure intensive ed emergenza), alle quali legare poi una progressione di carriere oggi inesistente. Bisogna intervenire in maniera concreta sulle remunerazioni, poiché per gli infermieri i soldi non ci sono mai”.
Dunque, tra le altre cose, servono maggiori investimenti: “Se non si investe in maniera concreta oggi, non avremo le risorse necessarie per affrontare le sfide di un sistema sanitario che sarà con il passare del tempo sempre più tecnologico, che deve affrontare sempre più cronicità con una popolazione che avrà una età media sempre maggiore negli anni. Senza un intervento profondo, in grado di ridare attrattività alla professione e di riequilibrare gli organici, la carenza non sarà più un problema della professione, ma del Paese e dei cittadini. Senza infermieri, non c’è futuro, perché non c’è assistenza e non c’è salute”.
Redazione Nurse Times
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