L’incendio di sabato sera all’ex Ilva ha causato un picco di PM10. Questa sigla indica le particelle inquinanti delle polveri fini. Il picco è il primo elemento che ha accertato Arpa Puglia, che probabilmente oggi effettuerà un sopralluogo all’impianto. L’eccesso di inquinante è stato in particolare registrato tra le 19 e le 20 dalla stazione di rilevamento di via Machiavelli nel rione Tamburi.
Il PM10 è uno degli elementi pericolosi citati dall’ultima Valutazione di danno sanitario che Asl Taranto e Arpa e Aress Puglia hanno redatto sulla produzione della fabbrica a 6 milioni di tonnellate d’acciaio l’anno dopo la messa a norma degli impianti, dichiarando che c’è ancora un rischio per la salute.
In particolare sul PM10, Asl, Arpa e Aress chiedono un intervento affinché rientri nella soglia dell’accettabilità, che «dovrebbe essere al massimo di 0,6 microgrammi per metro cubo» per ridurre del 36% l’esposizione della popolazione. La Valutazione è fatta sulla base delle emissioni (e dei loro impatti) dell’ex Ilva e di una serie di altre aziende.
Intanto è aperta l’indagine interna di Acciaierie d’Italia per capire le ragioni dell’incendio. A prendere fuoco è stato un nastro trasportatore che era fermo da tempo. Altre volte si sono incendiati nastri che erano in movimento e questo è dipeso da varie cause: attrito del nastro sul rullo di scorrimento, temperature elevate, surriscaldamento, usura.
In questo caso, però, è accaduta una cosa diversa. Il nastro era inattivo. Le torri sono il punto in cui confluiscono vari nastri. E le materie prime trasportate, cioè i minerali necessari alla produzione, non compiono tutto il tragitto con uno stesso nastro ma vengono trasferite da uno all’altro prima di giungere a destinazione.
Quello che si è incendiato proveniva dal secondo sporgente portuale della fabbrica. Nulla a che vedere quindi con la grande nave Gemma giunta a Taranto con 300mila tonnellate di minerale che è invece approdata al quarto sporgente.
Nell’incendio non ci sono stati feriti, né conseguenze per le persone, e il fatto che sia stato colpito un nastro non attualmente operativo, fa sì che non ci siano stati impatti significativi per la produzione. Il nastro in attività ha bisogno solo di una riparazione all’impianto elettrico, aspetto che l’azienda conta di risolvere in breve tempo, mentre di un intervento maggiore necessiterà quello che ha preso fuoco. In ogni caso, l’incendio di sabato – per il quale sono intervenuti in forze i Vigili del Fuoco, sia dell’ex Ilva che esterni – ha creato apprensione e proteste (sui social) in città. L’odore della gomma bruciata è stato chiaramente avvertito nel quartiere Tamburi, dove si è anche creato un effetto nebbia in alcune zone, ma anche nel centro proprio nelle ore del passeggio serale del sabato. Nel centro, tuttavia, intorno alle 20.30 lo sgradevole odore era già scomparso o quantomeno fortemente attenuato. Da Arpa si apprende che sabato era classificata come giornata di tramontana e di wind day. Questo ha portato la città ad avvertire gli effetti dell’incendio, ma anche fatto sì che questi venissero spazzati in minor tempo. Fonti tecniche aggiungono che il fatto che i nastri trasportatori siano coperti con le prescrizioni imposte dall’Autorizzazione integrata ambientale produce un “effetto camino” in caso di incendio e rammentano che i Vigili del Fuoco avevano anche suggerito per questo l’installazione di un impianto antincendio.
«L’incendio è l’ennesima spia rossa che conferma la necessità di fermare il progetto del Governo Meloni di riaccendere l’area a caldo fortemente inquinante» – dice Mario Turco, vicepresidente M5S, che ricorda come il piano antincendio sia una delle prescrizioni ambientali ancora inattuate dall’ex Ilva. «Uno stop immediato perché la situazione è fuori controllo» – chiede Patty L’Abbate, M5S, vice presidente della commissione Ambiente della Camera. E Legambiente Taranto: «Bisogna chiudere il ciclo del carbone. La decarbonizzazione non può continuare a restare lettera morta».
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