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Il lusso italiano si muove: ecco i marchi al lavoro su un riassetto (e le loro mosse) #finsubito prestito immediato


di
Francesco Bertolino e Daniela Polizzi

Piani anticrisi, nuovi investitori, vere e proprie ristrutturazioni: piccole e medie aziende del fashion corrono ai ripari di fronte al rallentamento globale. Le scelte dei grandi nomi, da Etro a Versace, e le mosse di Pinko e Furla

La moda italiana si mette in vetrina e cerca soluzioni o combinazioni creative per superare l’attuale fase di rallentamento globale. I grandi gruppi italiani del lusso, malgrado alcuni segnali di discesa nelle ultime trimestrali, stanno tenendo la rotta nel vuoto d’aria creatosi dopo il boom post-pandemia dei consumi. Qualche difficolta in più emerge fra le medie aziende e i colossi internazionali.

Grandi e piccole maison

Da un lato, le società di taglia più piccola, spesso a controllo familiare, sono state sorprese dal vento contrario del mercato proprio mentre i loro investimenti erano in fase di accelerazione. Alcune di loro sono perciò impegnate in un processo di ristrutturazione finanziaria, magari accompagnato dall’ingresso di un partner. Dall’altro, le grandi multinazionali del lusso che hanno avviato una revisione strategica del loro portafoglio di marchi che si è infoltito negli ultimi decenni scintillanti della moda globale. Dinanzi alla frenata, oggi le maison, grandi e piccole, sono insomma costrette a fare i conti con consumatori più cauti e con l’esigenza di tagliare i costi. Per i colossi questa analisi sfocia, talvolta, nella decisione di cedere alcuni marchi non più in linea con il loro posizionamento sul mercato.




















































Lvmh cambia abito

A fine settembre, così, il colosso francese Lvmh ha ceduto Off-White, marchio newyorkese di abbigliamento casual, a Bluestar Alliance, conglomerata americana che possiede, tra gli altri, Brookstone, Hurley e Scotch & Soda. Il cambio d’armadio di Bernard Arnault potrebbe non essere finito qui: secondo indiscrezioni, Lvmh ha da tempo avviato qualche sondaggio per trasferire in altre mani Kenzo, casa di moda francese fondata nel 1970 dallo stilista giapponese Kenzo Takada e dal 1993 nel gruppo. L’esito delle valutazioni dipenderà naturalmente dalle opportunità e dai valori dell’operazione, che era già stata ventilata sul mercato nel 2010, ma che all’epoca Lvmh aveva negato. Sempre nella galassia di Arnault si muove L Catterton di cui Lvmh ha una quota di minoranza. Il fondo è salito al 63% di Etro dopo un recente aumento di capitale varato per supportare l’azienda i cui ricavi nel 2023 sono stato di 261 milioni (dai 277 dell’anno precedente). Ora la famiglia starebbe valutando di uscire cedendo il suo circa 35,7% a un altro fondo.

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Il caso Versace

Un’altra maison blasonata che potrebbe tornare sul mercato è l’italiana Versace, rilevata nel 2019 dagli americani di Capri Holdings per 1,8 miliardi. Il gruppo sta valutando più opzioni strategiche per il marchio, inclusa la cessione dell’azienda fondata nel 1978. Capri ha del resto considerato già in passato la vendita o la quotazione di Versace che ha un target di consumatori «più alto» rispetto alla fascia media degli altri due suoi marchi, Jimmy Choo e Michael Kors . Poco più di due anni fa, così, il ceo John Idol ha incontrato due investitori interessati: secondo i rumour dell’epoca, mai smentiti, si trattava di Exor e Kering. Poi l’accordo di aggregazione con Tapestry ha fermato i lavori che, però, potrebbero presto ripartire. L’autorità Antitrust Usa ha bloccato la fusione fra i due gruppi nel timore che si potesse creare un «monopolio delle borsette» di lusso accessibili ( con un prezzo fra i 100 e i 1.000 dollari). Le due società hanno presentato ricorso, ma i precedenti suggeriscono che dinanzi allo stop Antitrust le aziende preferiscono spesso trovare strade alternative. Non è da escludere che una porti alla vendita di Versace.

Fosun e Sergio Rossi

Nel frattempo, anche il gruppo Lanvin, di proprietà del conglomerato cinese Fosun, potrebbe vagliare una ottimizzazione del suo portafoglio al fine di valorizzare l’italiana Sergio Rossi, il produttore di calzature di lusso rilevato nel 2021 da Investindustrial che a sua volta l’aveva comprato da Kering nel 2015. La crisi del mercato potrebbe convincere i cinesi, alle prese con i costi rilevanti di sedi e showroom, a passare la mano. Sempre che si trovi un compratore convinto, dalle spalle larghe e di matrice industriale, in grado di affrontare temi strategici come produzione e distribuzione.

Le medie aziende

Poi c’è la grande pattuglia dei gruppi italiani attivi nel mercato del lusso di fascia media, dove si consuma la battaglia più aspra per conquistare consumatori che, fra inflazione e incertezze economiche, oggi sono diventati riluttanti. Una platea ben diversa da quella a cui si rivolgono gruppi come Hermès, i cui ricavi la scorsa settimana hanno sfoggiato un aumento dell’11,3% a 3,7 miliardi nel terzo trimestre, o Brunello Cucinelli, l’azienda umbra che nella trimestrale appena archiviata ha incrementato il fatturato del 9,2% a 300 milioni. Molte medie aziende hanno invece visto contrarsi il giro d’affari e ora sono impegnate nel rendere più efficienti le attività, portando sotto il loro controllo la catena dei fornitori e tagliando costi.

Il piano di Pinko

In questa direzione si muove, per esempio, Pinko che ha lavorato alla creazione di una struttura più efficiente con la semplificazione delle controllate estere. Fondato da Pietro Negra, numero uno e ceo della Cris Conf di Fidenza (Parma), Pinko realizza un prodotto di affordable luxury. La società è stata tra le prime imprese del suo segmento a scommettere, oltre dieci anni fa, sulla Cina, dove ora possiede alcune decine di negozi. Un’iniziativa di successo che, però, oggi deve fare i conti con il generale calo dei consumi nel Paese e con il suo impatto economico sui conti. Gli ultimi dati disponibili di Pinko sono quelli relativi al 2022 (il bilancio 2023 non è stato depositato), chiuso con un fatturato a a 285 milioni di euro (+18% sul 2021) e un margine operativo lordo di 58 milioni. La previsione era di arrivare a 330 milioni e a 500 milioni tra il 2025 e il 2026 puntando su accessori e calzature. Giunta a quella taglia, l’impresa puntava alla quotazione in Borsa che in questa fase appare problematica per l’instabilità dei mercati.

Twinset in vendita

In passato accostato proprio a Pinko per un’aggregazione, un altro marchio alla ricerca di nuove geometrie è Twinset, maison emiliana (è nata a Carpi, nella provincia di Modena), oggi di proprietà del fondo Carlyle che ne ha affidato la valorizzazione all’advisor Rothschild. L’azienda fondata nel 1987 da Simona Barbieri e Tiziano Sgarbi ha attratto l’interesse del gruppo Borletti che in questa fase sembra essere in pole position per un’eventuale acquisizione. La società punta a chiudere il 2024 con ricavi in crescita a circa 210 milioni e un margine operativo lordo intorno ai 35 milioni. Twinset gestisce 100 negozi di proprietà e 90 in franchising. Sotto le insegne della futura proprietà, l’impresa di Carpi disegnerà un nuovo piano di crescita.

La crisi di Furla

Alle prese con un riassetto più delicato è invece il gruppo Furla che potrebbe a breve selezionare un advisor per condurre in porto una riorganizzazione che verte soprattutto su una revisione della struttura finanziaria, appesantita dall’andamento del mercato. L’impresa emiliana della famiglia Furlanetto la scorsa estate ha deciso di ricorrere alla procedura di composizione negoziata per ristrutturare i debiti con le banche. Il bilancio 2023, che ha visto un primo semestre positivo e un secondo di rallentamento, non è disponibile quindi gli ultimi dati pubblici sono quelli di fine 2022, quando la società mostrava un debito di 154 milioni.

Nuovi fondi per K-Way

In questa situazione di rallentamento, però, possono anche sorgere opportunità interessanti per chi voglia comprare o aumentare gli investimenti sulla crescita, che resta una priorità per molti imprenditori e investitori. Da ultimo, così, la quotata BasicNet della famiglia Boglione ha aperto le porte al fondo Permira, che è entrato al 40% nel marchio K-Way per accelerare il percorso di sviluppo . Si pensi poi alla famiglia Marchi che ha fondato Liu Jo e che, tramite la holding operativa Exelite, controlla anche Blumarine, Eli e Digital Boite, generando 504 milioni di ricavi nel 2023 . 

Le aggregazioni

Oppure a Oniverse, capofila industriale del gruppo fondato a Vallese di Oppeano, in provincia di Verona, da Sandro Veronesi nel 1986 e conosciuto con il nome del suo brand storico Calzedonia e capace di 3,1 miliardi di ricavi. Oniverse ha in portafoglio marchi come Intimissimi, Tezenis, Falconeri, Signorvino, Atelier Emé, Antonio Marras e, dopo l’acquisizione di Cantiere del Pardo, Grand Soleil, Pardo e Van Dutch, vuole espandersi ancora. La convinzione diffusa, del resto, è che questo sarà un biennio di grande selezione nella moda e nel lusso che fin qui sembravano inattaccabili. Ma anche di grandi opportunità per creare alleanze fra imprenditori, investitori e piattaforme per aggregare la moda italiana.

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19 novembre 2024



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