Dopo intense negoziazioni, la 29esima Conferenza delle Parti sul Clima si è conclusa con un accordo che stanzia 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035 per i Paesi vulnerabili. Tuttavia, non ha prodotto progressi significativi su mitigazione e abbandono delle fonti fossili, lasciando aperte molte questioni cruciali
La COP29 di Baku si è conclusa, alle 2.30 del 24 novembre, con un accordo sofferto sulla finanza climatica, ma con un nulla di fatto sull’azione per il clima.
Dopo due settimane di difficili negoziati, i Paesi hanno concordato di stanziare 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035 per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad affrontare la crisi climatica. Tuttavia, la conferenza non è riuscita a raggiungere un accordo su azioni concrete per ridurre le emissioni di gas serra e abbandonare i combustibili fossili.
L’accordo sofferto sulla finanza climatica
L’accordo sulla finanza climatica è stato raggiunto solo dopo un lungo braccio di ferro tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. I Paesi in via di sviluppo hanno chiesto un impegno finanziario più ambizioso da parte dei Paesi sviluppati, che sono storicamente responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra. L’accordo finale prevede lo stanziamento di 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035, una cifra inferiore alle richieste dei Paesi in via di sviluppo, ma comunque superiore al precedente obiettivo di 100 miliardi di dollari.
Un controverso dell’accordo, in questo ambito, riguarda la posizione della Cina. Nonostante sia ormai uno dei maggiori inquinatori a livello globale, Pechino continua a rivendicare lo status di “Paese in via di sviluppo”, ottenuto nel 1992, che le consente di non avere obblighi di finanziamento per il clima. Questa posizione è stata rafforzata da un articolo ad hoc inserito nel testo finale, che rassicura la Cina sul fatto che il suo eventuale contributo resterà su base volontaria.
Mitigazione: la grande assente
Sul fronte della mitigazione, la COP29 ha registrato un sostanziale fallimento. Nonostante l’urgenza di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, i Paesi non sono riusciti a concordare azioni concrete per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che mira a limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali.
Global Stocktake: un rinvio preoccupante
Anche sul fronte dell’implementazione del Global Stocktake, il bilancio della COP29 è deludente. Il Global Stocktake è un processo di valutazione degli impegni e delle azioni dei Paesi per il clima, che si svolge ogni cinque anni. I lavori sul Global Stocktake, che avrebbero dovuto tradursi in azioni concrete per aumentare l’ambizione degli impegni nazionali, sono stati rimandati al 2025. Questo rinvio è stato visto con preoccupazione da molti osservatori, che temono che possa compromettere la possibilità di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Adattamento: progressi e incertezze
La COP29 ha segnato un passo avanti sul tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici, con la definizione di un framework più preciso per il Global Goal on Adaptation (GGA). Questo obiettivo, stabilito nell’Accordo di Parigi, mira a rafforzare la capacità di adattamento, aumentare la resilienza e ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici.
A Baku, i Paesi hanno concordato un set di indicatori per monitorare i progressi verso il GGA, con un focus su aspetti cruciali come la resilienza delle comunità, la protezione degli ecosistemi e l’accesso alla finanza per l’adattamento. Tra gli indicatori adottati, figurano quelli relativi agli ecosistemi, all’inclusione sociale, ai diritti umani e all’uguaglianza di genere.
Tuttavia, permangono incertezze sul finanziamento e sull’implementazione delle misure di adattamento. I Paesi in via di sviluppo, che sono i più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, richiedono maggiori risorse finanziarie per attuare piani di adattamento efficaci. Inoltre, è necessario un maggiore impegno da parte di tutti i Paesi per integrare l’adattamento nelle politiche nazionali e promuovere un approccio trasformativo che affronti le cause profonde della vulnerabilità.
Mercati del carbonio: un accordo controverso
L’accordo raggiunto sulla regolamentazione dei mercati del carbonio (Articolo 6 dell’Accordo di Parigi) è stato uno dei temi più dibattuti alla COP29. Dopo anni di negoziati, i Paesi hanno finalmente concordato un framework per la cooperazione internazionale nella riduzione delle emissioni, includendo meccanismi per lo scambio di crediti di carbonio.
Tuttavia, l’accordo è stato criticato da molte Ong e attivisti per la mancanza di garanzie sulla tutela dei diritti umani e sulla credibilità dei crediti di carbonio. Si teme che il nuovo sistema possa favorire progetti che non contribuiscono in modo efficace alla riduzione delle emissioni o che abbiano impatti negativi sulle comunità locali.
Un altro punto critico riguarda la mancanza di trasparenza e di responsabilità nel sistema. Alcuni Paesi hanno espresso preoccupazione per la possibilità che i crediti di carbonio vengano utilizzati per greenwashing, ossia per mascherare l’inazione climatica senza un reale impegno nella riduzione delle emissioni.
Giustizia climatica e diritti umani
La COP29 ha ribadito l’importanza di affrontare il cambiamento climatico in modo equo e giusto, tenendo conto delle esigenze e delle vulnerabilità dei Paesi e delle comunità più colpite. Tuttavia, i risultati concreti su questo fronte sono stati limitati.
Il programma sulla giusta transizione, che mira a garantire che la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio sia equa e inclusiva per tutti, è stato rimandato ai negoziati intermedi di Bonn. Lo stesso vale per il programma di lavoro sulle questioni di genere, che promuove la partecipazione delle donne e l’integrazione della prospettiva di genere nelle politiche climatiche.
Inoltre, come già menzionato, l’accordo sull’Articolo 6 non include garanzie sufficienti sulla tutela dei diritti umani.
Biodiversità e CBAM
La COP29 ha riconosciuto l’importanza di proteggere la biodiversità nell’ambito dell’azione per il clima. La perdita di biodiversità e il cambiamento climatico sono due crisi interconnesse che richiedono un approccio integrato.
Tuttavia, la conferenza non è riuscita a stabilire un filone negoziale specifico su clima e biodiversità, limitandosi a lanciare l’Iniziativa Trio di Rio, che mira a promuovere un’azione coordinata tra le Convenzioni delle Nazioni Unite su clima, biodiversità e desertificazione.
Inoltre, il tentativo dei BRICS di inserire un nuovo punto negoziale sul CBAM europeo (Carbon Border Adjustment Mechanism) è fallito. Il CBAM è un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere introdotto dall’Ue per tassare le importazioni di beni provenienti da Paesi con standard ambientali meno rigorosi, al fine di prevenire la “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”. La questione del legame tra commercio e cambiamento climatico sarà oggetto di un dialogo a partire dal 2025.
Verso la COP30 di Belem
La COP29 di Baku ha lasciato aperte molte questioni cruciali, che dovranno essere affrontate durante la COP30 di Belem, in Brasile. Tra queste, la mitigazione, l’uscita dai combustibili fossili, il finanziamento per il clima e l’implementazione del Global Stocktake.
La COP30 rappresenta un’occasione cruciale per rilanciare l’azione per il clima e per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Sarà fondamentale che i Paesi si presentino a Belem con impegni più ambiziosi e con la volontà di superare le divisioni e gli interessi nazionali che hanno rallentato i progressi a Baku.
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