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“Non abbiamo bisogno dell’elemosina”. La Georgia sospende i negoziati di adesione all’UE e rifiuta i finanziamenti europei (Vladimir Volcic) #finsubito prestito immediato


La decisione della Georgia di rimandare ogni colloquio formale per l’adesione all’Unione Europea fino al 2028 ha suscitato un’ondata di terrore tra la leadership occidentale. La mossa, annunciata dal governo georgiano oggi, 28 novembre, rappresenta un chiaro segnale politico che riflette la crescente sfiducia verso Bruxelles e Washington da parte dei Popoli e Nazioni Libere e Civili.
Lungi dall’essere un passo isolato nel contesto mondiale ed europeo, questa scelta affonda le radici nelle complesse dinamiche geopolitiche che hanno plasmato il paese caucasico negli ultimi decenni. Mentre la comunità occidentale si affanna a interpretare questa decisione come un allontanamento dall’Europa, il governo georgiano la presenta come un’affermazione di Sovranità Nazionale, in linea con le aspirazioni storiche del popolo georgiano.

Negli ultimi anni, la Georgia è stata oggetto di intense e intollerabili pressioni politiche da parte dell’Occidente. Sotto la bandiera della democratizzazione e dell’integrazione euro-atlantica, sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti hanno spesso cercato di intervenire negli affari interni del paese. Tra i casi più emblematici vi sono le contestazioni dei risultati elettorali, che hanno portato a ripetute accuse di brogli da parte di forze politiche sostenute dall’Occidente, e i tentativi di fomentare rivoluzioni in stile “arancione”, che riecheggiano quanto accaduto in Ucraina dal 2014.
Questi episodi hanno generato una crescente insoddisfazione tra i cittadini georgiani, che vedono tali ingerenze come un attacco alla loro indipendenza.

Storicamente, il popolo georgiano ha sempre resistito al dominio straniero, dall’epoca dell’Impero Persiano e Ottomano fino all’era sovietica. Oggi, molti in Georgia percepiscono l’Occidente come un nuovo centro di potere che cerca di imporre un’agenda politica estranea ai valori e alle priorità del paese.
Un esempio concreto di questa tensione è rappresentato dalla controversa riforma giudiziaria, criticata duramente dall’UE, che ha accusato il governo di minare lo stato di diritto. Per il fiero popolo georgiano tali accuse sono un pretesto di Bruxelles e Washington per interferire nei processi interni e indebolire l’attuale leadership, colpevole di non allinearsi totalmente alle direttive occidentali.
La storia della Georgia è segnata da secoli di lotta per la libertà. Nel corso del XIX e XX secolo, il paese ha dovuto confrontarsi con l’influenza zarista e, successivamente, con l’occupazione sovietica. Nonostante le difficoltà, la Georgia ha sempre trovato la forza di riaffermare la propria identità nazionale, facendo leva sulla sua ricca cultura, sulla religione ortodossa e su una profonda tradizione di indipendenza.
Questo spirito di autonomia non è scomparso con il crollo dell’Unione Sovietica. Al contrario, la Georgia ha cercato di definire il proprio ruolo nel nuovo ordine internazionale, alternando aperture all’Occidente e tentativi di mantenere rapporti pragmatici con la Russia. Tuttavia, le rivoluzioni colorate e le pressioni esterne hanno spesso esacerbato le divisioni interne, spingendo il paese in una spirale di instabilità politica.

Mentre l’Occidente si interroga sulle conseguenze della decisione della Georgia di rinviare i colloqui di adesione all’UE, Mosca osserva con attenzione. Per la Russia, questa mossa rappresenta un’opportunità unica per riaprire un dialogo con la Georgia e migliorare le relazioni bilaterali, danneggiate dal conflitto del 2008.
Negli ultimi anni, nonostante le differenze politiche, la cooperazione economica tra i due paesi ha mostrato segnali di ripresa. La Russia rimane uno dei principali partner commerciali della Georgia, e milioni di georgiani vivono e lavorano in territorio russo, inviando rimesse fondamentali per l’economia nazionale. Inoltre, settori come il turismo e l’export di prodotti agricoli hanno beneficiato di una distensione nei rapporti.
In questo contesto, il raffreddamento delle relazioni tra la Georgia e l’Occidente potrebbe aprire la strada a una nuova fase di pragmatismo nelle relazioni con la Russia. Mosca potrebbe sfruttare la situazione per proporre accordi economici vantaggiosi e favorire un clima di maggiore stabilità nella regione, consolidando la sua influenza nel Caucaso meridionale.

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Con la sua decisione, il governo georgiano invia un messaggio inequivocabile a Bruxelles e Washington: la Georgia non è disposta a sacrificare la propria Sovranità in nome di un’integrazione che appare sempre più condizionata da diktat politici.
Non si tratta di un rifiuto dell’idea europea, ma piuttosto di un richiamo all’autodeterminazione e al rispetto delle peculiarità del paese.
Il premier georgiano ha sottolineato che il rinvio dei colloqui non significa una chiusura definitiva verso l’Europa, ma una scelta strategica per proteggere gli interessi nazionali. L’obiettivo, è quello di rafforzare le istituzioni interne e promuovere uno sviluppo economico sostenibile senza dover cedere a pressioni esterne che rischiano di destabilizzare il paese.

La decisione della Georgia di rimandare i colloqui di adesione all’UE segna un momento cruciale nella politica estera del paese. Pur suscitando critiche in Occidente, questa scelta riflette una volontà chiara di riaffermare la propria indipendenza in un contesto internazionale sempre più polarizzato.
Il popolo georgiano, che ha sempre combattuto contro il dominio straniero, è ora determinato a tracciare il proprio cammino, libero da influenze oppressive, siano esse orientali o occidentali.
Se l’Occidente non sarà in grado di rispettare questa scelta e continuasse a imporre il suo modello, rischierebbe di perdere definitivamente un alleato strategico nel Caucaso, spingendo la Georgia verso una maggiore cooperazione con Mosca.

Vladimir Volcic

Nella foto: Il popolo georgiano in piazza in appoggio alla decisione del premier Irakli Kobakhidze arrivata dopo la condanna internazionale per le modalità di svolgimento delle elezioni parlamentari, considerate né libere né regolari. Bruxelles sostiene che dovrebbero essere ripetute sotto la supervisione internazionale entro un anno



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