Il segretario generale della Cgil dal palco di Bologna: “Il governo e le imprese abbiano l’umiltà di saper ascoltare le persone”
da: www.collettiva.it – 29 novembre 2024
“Oggi più di 500 mila persone in tutta Italia sono scese in piazza per difendere la libertà e i diritti di tutti”. Ha esordito così il segretario generale Cgil Maurizio Landini, parlando dal palco di piazza Maggiore a Bologna, a conclusione della manifestazione in occasione dello sciopero generale: “Siamo qui per difendere l’integrità delle persone che per vivere hanno bisogno di lavorare. Al centro della discussione politica e sociale in Italia e in Europa devono tornare la persona e il lavoro, non il profitto, il mercato e la speculazione finanziaria”.
DIRITTO DI SCIOPERO E DECRETO SICUREZZA
“Il diritto di sciopero è un diritto di libertà, non è un caso che tutti i regimi autoritari, come primo atto, lo hanno sempre messo in discussione e hanno sempre chiuso e assaltato le sedi sindacali”, ha affermato Landini: “È bene che tutti coloro che in queste ore hanno tentato di mettere in discussione questo diritto, ricordino che in Italia la democrazia esiste proprio perché il mondo del lavoro ha sconfitto prima il fascismo e il nazismo, poi il terrorismo rosso e nero”.
Ed è proprio per difendere questo diritto che la Cgil “chiede al governo di ritirare il cosiddetto decreto sicurezza. “La sicurezza di un Paese non è messa in discussione se le persone scendono in piazza o se i lavoratori, di fronte al rischio di licenziamento, occupano le strade o le fabbriche” ha argomentato Landini: “Se a Napoli, ad esempio, si è trovata una prospettiva occupazionale per la Whirlpool che chiudeva, è perché quelle lavoratrici e quei lavoratori per due anni hanno manifestato e occupato la fabbrica. Se passa quel decreto, con questa legge sarebbero stati tutti arrestati. Non c’è solo un attacco al diritto di sciopero, ma c’è il rischio di una svolta antidemocratica”.
PENSIONI: L’OBIETTIVO DEL GOVERNO
Passando al tema della previdenza, il segretario generale Cgil ha analizzato le ultime mosse del governo. “L’esecutivo – ha spiegato – parla di bloccare le assunzioni nei settori pubblici, di ridurre l’occupazione non sostituendo quelli che vanno in pensione, addirittura di permettere alle persone di lavorare fino a 70 anni. L’obiettivo è preciso: alzare l’età pensionabile per tutti fino a 70 anni”. Ma c’è di più: “Il governo cambierà anche i coefficienti per il calcolo delle pensioni. È già chiaro, allora, che se lasciano quei coefficienti, tutti coloro che sceglieranno di andare in pensione avranno una riduzione per sempre del loro assegno”.
FISCO: LA FLAT TAX È INGIUSTA
Dalle pensioni si è poi passati alla questione fiscale. “La flat tax non serve alle lavoratrici e ai lavoratori, ma a chi vuole pagare meno tasse”, argomenta Landini: “Se la tassa è piatta, ossia uguale per tutti, paga il 15 per cento sia chi guadagna 20 mila euro sia chi ne guadagna 100 mila. La tassazione deve essere progressiva, non può essere diversa secondo la fonte da cui proviene, se è rendita finanziaria o rendita immobiliare, se lavoratore autonomo o lavoratore dipendente”.
In Italia, ha detto citando un report di Mediobanca, nel 2022-2023 “c’è stato un record dei profitti. Negli stessi anni, però, c’è stato un aumento dell’inflazione proprio dovuto ai profitti e alle speculazioni, che ha determinato una riduzione senza precedenti del potere d’acquisto di salari e pensioni”.
Sempre nel 2022-2023 in Italia “i profitti delle banche sono stati di 50 miliardi, quelli delle assicurazioni di 12 miliardi, quelli delle prime 200 grandi aziende di 70 miliardi. Arriviamo a 132 miliardi di utili, e gli utili sono tassati al 24 per cento, mentre 15 anni fa erano tassati al 30. Il nostro lavoro, le nostre buste paga, le nostre pensioni arrivano a essere tassate al 43%. Dunque: è più alta la tassazione del lavoro dipendente, che col proprio lavoro fa fare i profitti alle imprese, della tassazione dei profitti delle stesse imprese. A noi non sembra una cosa normale”.
LA SPESA SOCIALE: I TAGLI DEL GOVERNO
“Nel 2024 ci sarà un aumento delle entrate, pari a 17 miliardi di euro. Ma queste entrate in più vengono dall’Irpef, ed è noto che il 90 per cento dell’Irpef viene pagata da lavoratori dipendenti e pensionati”, ha chiarito il leader Cgil, sottolineando di aver proposto al governo “di restituire questi 17 miliardi a chi paga le tasse. In che modo? Aumentando la spesa sanitaria e riducendo sia le liste d’attesa sia il costo dei ticket, finanziando la legge sulla non autosufficienza, incrementando le risorse per i rinnovi dei contratti e per permettere ai Comuni di fare le assunzioni necessarie per garantire i servizi”.
La scelta del governo, dunque, è quella di tagliare la spesa sociale. “Nel piano che il governo ha presentato all’Europa per ridurre il debito pubblico, si è impegnato per i prossimi sette anni di diminuirlo annualmente di 15 miliardi. E ha scritto che per i prossimi sette anni si deve non superare la spesa sociale dell’1,5% ogni anno”, ha sottolineato Landini: “La scelta politica del governo è dunque chiara: non s’interviene sulle entrate, facendo pagare le tasse a chi non le paga, e si taglia la spesa sociale”.
Una battaglia europea
Ma le lotte, le battaglie ormai non possono più avere solo una dimensione nazionale. “Bisogna battersi in Europa – ha scandito – perché dal patto di stabilità si tolgano le spese per la scuola, per le politiche industriali, per la sanità”. E poi, per mutare modello di sviluppo e sistemi di produzione “ci vogliono miliardi di investimenti e risorse per accompagnare i processi di cambiamento”, soprattutto se “vogliamo evitare che questo processo porti a licenziamenti e a chiusure, e dunque serve un fondo straordinario così come c’è stato durante il Covid”.
La questione salariale
Il leader della Cgil ha poi toccato il tema “grande come una casa” della questione salariale. Ricordando in primis come il governo stia millantando l’idea di aver ridotto il cuneo fiscale
ma “se qualcuno ha cominciato ad affrontare il problema del cuneo contributivo è stato il governo Draghi e lo ha fatto perché Cgil e Uil proclamarono uno sciopero generale che conteneva una richiesta precisa: basta una tantum, è il momento di provvedimenti strutturali”.
Non solo: Landini ha anche ricordato come con il cambiamento della modalità di riduzione del cuneo fiscale (che si tradurrà ora in detrazioni, cioè non pagando direttamente meno contributi e dunque con un risultato immediato netto in busta paga), “chi ha da 35.000 a 50.000 euro di retribuzione non avrà alcuno sconto, anzi pagherà di più, perché nel nostro sistema l’aumento del lordo fa scattare aliquote diverse”.
I contratti: governo inadeguato
Ma il governo è anche un cattivo datore di lavoro. “Vi sembra normale – ha sottolineato – che a fronte di un’inflazione 2022-2024 tra il 16 e il 17% per i settori pubblici siano stati offerti aumenti del 6%? E se un sindacato lo accetta, vuol dire che sta accettando una riduzione programmata del potere d’acquisto dei salari”, mentre “non conosco un settore privato che in questo periodo non abbia chiuso un contratto dove non ha portato a casa almeno il 13-15% di aumento”.
Il riferimento è ovviamente al rinnovo del contratto degli statali che non è stato siglato da Cgil e Uil. “Sia chiaro – ha proseguito – da me non sentirete mai una parola offensiva verso altri sindacalisti. Penso però che se ci sono idee diverse, bisogna dare la parola alle lavoratrici e ai lavoratori, ed è questa la proposta che abbiamo fatto”.
Se poi le persone “decideranno che quello è il loro contratto ne prenderemo atto ma se lavoratrici e lavoratori dovessero dire che quello non è il loro contratto allora bisogna riaprire le trattative. Per me l’unità sindacale non è la semplice somma di organizzazioni sindacali è qualcosa di più, è innanzitutto un diritto delle lavoratrici e dei lavoratori”, e “lo strumento che hanno è appunto la democrazia”. A questo punto il segretario della Cgil ha anche ribadito l’esigenza di una legge sulla rappresentanza, vero strumento di democrazia.
L’importanza della partecipazione
Landini ha poi ricordato che lo sciopero generale di oggi è stato preceduto da scioperi e mobilitazioni di quasi tutte le categorie sindacali e che per questo “fa parte di una strategia che vuole cambiare davvero questa situazione. Per noi ogni persona deve mettersi in movimento e deve rivoltarsi di fronte alle ingiustizie”. Fondamentale dunque il tema della partecipazione perché “quando va a votare ormai il 50% delle persone significa che siamo dentro a una crisi della democrazia, vuol dire che non ci si sente più rappresentati e quando buona parte di chi non va a votare è tra chi sta peggio vuol dire che è necessario che i bisogni delle persone tornino ad essere centrali”.
Autonomia differenziata: il referendum resta necessario
Da questo punto di vista “non è un caso che noi con la Uil, e insieme a un mondo vastissimo di associazioni, abbiamo scelto di raccogliere milioni di firme per cancellare la legge sull’autonomia differenziata. La giornata di oggi, le quasi 50 piazze piene in tutta Italia, sono la dimostrazione fisica che noi siamo quelli che uniscono il paese non quelli che lo dividono”, e dunque “la legge sull’autonomia differenziata va totalmente abrogata e vogliamo che siano rispettate il milione 300 mila firme dei cittadini che chiedono di andare in questa direzione”.
Se di fronte alla guerra, agli scenari globali in atto “qualcuno pensa che la soluzione alla crisi sia che ogni Regione abbia la sua politica energetica, la sua politica industriale, la sua politica scolastica, consentitemi dire con franchezza – ha ironizzato – che lo dobbiamo far aiutare da qualcuno veramente bravo”.
L’autonomia differenziata “porterebbe al superamento dei contratti nazionali, alle gabbie salariali: cose che abbiamo già visto e per cancellare le quali i nostri padri, i nostri nonni si sono battuti. Oggi, in realtà, quello di cui abbiamo bisogno sono accordi e contratti europei”.
Lotta solidale contro la precarietà
Concludendo il segretario generale ha confermato che la battaglia andrà avanti: “Non ci fermeremo, da domani proseguiremo la mobilitazione nei luoghi di lavoro e nel territorio con un forte impegno solidale”. Solidarietà che vuol dire “battersi anche per chi ha meno, per chi è precario: non si tratta di un gesto di altruismo, perché se non facciamo così la frattura tra chi è precario e chi non lo è si allargherà sempre di più e il rischio è che improvvisamente ci troveremo tutti precari e tutti senza diritti”.
D’altra parte, “la giornata di oggi ci dà una grande forza, ci dice siamo sulla strada giusta” e la sua riuscita dimostra “che questo governo non rappresenta la maggioranza del paese. Il governo e le imprese abbiano l’umiltà di saper ascoltare le persone”.
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