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Rigopiano, la Cassazione dispone il processo bis. I parenti delle vittime: «Finalmente un cambio di rotta» #finsubito prestito immediato


«Ci aspettavamo di più ma, finalmente, un cambio di rotta c’è stato, eccome. Per la prima volta in 8 anni, il prossimo 18 gennaio andremo tutti insieme a celebrare i nostri cari, a Farindola, luogo del dramma, con la speranza nel cuore». Hanno dovuto attendere, ma ieri sera la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha parzialmente riformato la sentenza d’Appello per la strage dell’Hotel Rigopiano, del 18 gennaio 2017, quando una valanga devastò e trascinò via l’albergo, situato tra i monti di Farindola (Pescara), causando 29 morti. Pianti e commozione dei familiari delle vittime alla lettura del dispositivo. A spiegare le decisioni prese sono, in una nota, gli stessi giudici che hanno annullato il verdetto di appello emesso a L’Aquila che, come già quella di primo grado a Pescara, «aveva escluso la responsabilità dei dirigenti del Servizio di Protezione civile della Regione Abruzzo per i reati di disastro colposo e omicidio e lesioni plurime colpose».

Invece, come chiesto dal procuratore generale, Giuseppe Riccardi, nella sua requisitoria,  i dirigenti regionali Pierluigi Caputi, Emidio Rocco Ernesto Primavera, Sabatino Belmaggio, Carlo Giovani, Carlo Visca, Vincenzo Antenucci ora dovranno essere processati, a Perugia. In ballo, a loro carico, c’è una Carta valanghe all’epoca inesistente, che si era arenata. Riguardo all’ex sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e al tecnico del Comune dell’epoca dei fatti, Enrico Colangeli, nonché ai due funzionari della Provincia di Pescara condannati dalla Corte di appello per omicidio e lesioni colpose plurimi, la Cassazione ha disposto un nuovo giudizio per rivalutarne le posizioni. Confermata, inoltre, la condanna dell’allora prefetto di Pescara, Francesco Provolo, ad un anno e 8 mesi, per omissione di atti d’ufficio e di falso ideologico in atto pubblico, nonché del capo di gabinetto della stessa Prefettura, sempre per falso.

Confermate le assoluzioni disposte in primo e secondo grado per il reato di depistaggio, contestato al prefetto e ai suoi funzionari. Sono state, infine, confermate le condanne del gestore dell’albergo, Bruno Di Tommaso, e del geometra che aveva redatto la relazione allegata al permesso per la ristrutturazione dello stabile, per i reati di falsità ideologica loro attribuiti. Giampaolo Matrone, pasticciere di Monterotondo (Roma), oggi quarant’anni, l’ultimo a essere estratto vivo dalle macerie del resort, ma con pesanti menomazioni, soprattutto agli arti, dice: «E’ significativo il fatto che la Suprema Corte abbia richiesto un processo d’appello bis per i dirigenti della Regione che erano stati mandati assolti, ravvisando quindi profili di responsabilità dell’organo regionale che sin qui ne era uscito incomprensibilmente indenne». Lui, nel disastro, ha perso la moglie, Valentina Cicioni, con la quale a Rigopiano era arrivato poche ore prima per una vacanza lampo.

«Abbiamo visto riconosciuto in parte il dolore di genitori», commentano altri parenti. Per Antonella Pastorelli, madre di Alessandro Riccetti, receptionist di Terni deceduto nella tragedia, si tratta di una decisione «che ci restituisce un po’ di fiducia ma non i nostri cari. Potevano salvarli, quel maledetto giorno, se solo ci fosse stata la consapevolezza della situazione e chiarezza sulle azioni da attuare. Invece li hanno abbandonati. Che il loro sacrificio insegni qualcosa alle istituzioni, a tutti». «Sono usciti i veri responsabili, andiamo al tribunale di Pescara», butta lì Egidio Bonifazi, padre di Emanuele, 31enne di Pioraco (Macerata) che faceva il receptionist e che, come gli altri, è rimasto bloccato nella struttura ricettiva, tra scosse di terremoto e metri di neve, prima che la micidiale slavina li seppellisse.

«Sono lacrime di gioia perché per il disastro colposo non rischiamo la prescrizione; il prefetto ne esce con una condanna lieve ma, per noi, rimane un grande bugiardo» rimarca Gianluca Tanda, presidente del comitato Vittime di Rigopiano. «’Secondo me la turbina non arriva più’: questo – ricorda Mariangela Di Giorgio, – è l’ultimo messaggio che mia figlia, Ilaria Di Biase, cuoca in quel posto, mi inviò… Erano le 16 del pomeriggio, di lì a poco finì tutto… Andiamo a casa riponendo, adesso, un po’ più fiducia nella giustizia». Ilaria era di Archi (Ch), aveva 22 anni e il sogno di aprire una pasticceria.



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