Un sintomo oggettivo è il calo continuo delle previsioni del Pil nel 2024. Ora, dopo un trimestre a zero, siamo arrivati allo 0,5%, metà delle previsioni iniziali del Mef. Intanto, sul fronte del lavoro, ancora scioperi, e sul fronte produttivo il cattivo esempio della crisi Stellantis, scappata di mano ad un capitalismo viziato. Soffre lo storico sistema auto, con l’occupazione nazionale scivolata già molto sotto quella del solo stabilimento di Mirafiori degli anni del grande scontro di classe. I dipendenti Stellantis sono peraltro quelli più tutelati: cassa integrazione (costata già 700 milioni), attenzione mediatica, visite di politici. Le lettere di licenziamento riguardano l’indotto esterno. Per ora. Ma per il 2025 si parla di 40mila posti in meno.
Il respiro corto
In queste settimane, le fabbriche si fermano in vacanza forzata, nella meccanica anche a Bergamo e a Treviglio, in aziende che pure non hanno problemi strutturali. Giovanna Ricuperati, presidente di Confindustria Bergamo, perde un po’ dello slancio con cui aveva parlato un mese fa all’assemblea con Brescia. Già c’erano ombre, ma del crollo Volkswagen si cominciava a parlare solo quel giorno. Gli associati leggevano in platea le notizie di agenzia sui telefonini. Ora, chiama in causa la politica. Il Parlamento, tuttavia, non può più raddrizzare una legge di bilancio di piccolo cabotaggio. Impossibile il «cambio di passo» che Ricuperati sollecita, perché i tre partiti di governo sono aggrovigliati sulle loro tre riforme identitarie (che non entusiasmano quasi nessuno), messe a rischio dall’affondamento costituzionale delle autonomie. Si disputa attorno a contentini simbolici: quanti euro più di due, per le pensioni minime? Il respiro è corto, e sempre la presidente Ricuperati sottolinea le contraddizioni: male il decisivo e strategico 5.0 e la scarsa agevolazione per il reinvestimento (tanti vincoli, pochi soldi), bene la vecchia legge Sabbatini, che risale ai tempi tanto deprecati della Prima Repubblica.
Innovazione coraggiosa
Ciò non toglie che sindacati e imprese debbano impegnarsi in modo creativo e non ripetitivo. Occorre innovazione coraggiosa. Non lo è la «rivolta sociale» di Landini che, se non vale alla lettera, non significa nulla, così come il ricorso allo sciopero sembra sempre di più un segno di impotenza. I cittadini comuni si associano e non mugugnano solo, come a Firenze, se c’è di mezzo la sicurezza del lavoro. Pretendere che si «ascoltino» 500mila persone che hanno partecipato a quello «generale» è vano, in un Paese in cui più di 15 milioni di persone non vanno a votare.
Sindacati disuniti
Insomma, sindacati ormai disuniti, con una Uil che segue pedissequamente la Cgil, e che nella diversamente orientata Cisl lascia emergere dissensi motivati, dovrebbero capire che la difesa referendaria dell’art. 18 è di retroguardia e che lo stesso ceto sindacale non può difendere sé stesso solo mostrando i muscoli in piazza e implorando un giorno sì e un giorno no un «tavolo» a Palazzo Chigi. Le eterne questioni della rappresentatività contro il proliferare dei quasi 1.000 improbabili contratti si sostengono solo con l’autorevolezza e serietà delle proposte, non facendo la voce grossa al microfono. I contratti sono spesso fotocopie ingiallite, e la vera contrattazione va sempre più decentrata. Sul salario minimo dovrebbero uscire proposte, visto che i sindacati sono i veri competenti in materia, evitando così strumentalizzazioni.
Quanto alle imprese, anche qui più creatività politica. Soprattutto dove le cose funzionano, occorrono nuove idee. Ricuperati per Bergamo e Brescia auspica un «cluster» fino a ieri impensato, nell’ambito delle infrastrutture elettriche. Il torinese Giorgio Marsiai indica un modo diverso di affrontare la crisi dell’auto: un aggancio tra un settore in difficoltà e uno che ha un grande futuro, quello dell’aerospazio, sfruttando punti di contatto che pochi vedono, ma che esistono. Ecco, dalla crisi si esce con gli occhi al futuro, non rimpiangendo il passato.
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