Aveva ucciso il nipote dell’ex compagna con 11 colpi di pistola, di cui otto esplosi quando la vittima era già a terra. È accaduto il 2 febbraio 2023, sotto casa della vittima, il 47enne Fabrizio Vallo, in via del Sommergibile, a Ostia. A distanza di neanche un anno era arrivata per il killer Emanuele Caradonna – pregiudicato – la condanna in abbreviato a 16 anni per omicidio volontario aggravato e ad altri due per porto di arma da fuoco in luogo pubblico. La Corte di assise d’appello di Roma aveva confermato la condanna lo scorso giugno. A nulla è valso il ricorso in Cassazione. Anche per gli Ermellini non ci sono dubbi. Sono in tutto 18 gli anni che Caradonna dovrà passare in carcere.
LA DINAMICA
Dalle indagini era emerso che i due avessero da tempo degli attriti dovuti alla contesa di una casa popolare in via Vincon, a Ostia, di proprietà della nonna di Vallo, già gravato da precedenti per droga, minacce e rapine ai danni di attività commerciali della zona. Alla morte della nonna, la zia materna della vittima (ex compagna dell’imputato) era andata a vivere in quell’appartamento e Vallo lo rivendicava. Dopo una serie di ripetute minacce e vessazioni nei confronti della zia, il giorno dell’omicidio, i due avevano avuto una lite nella quale Caradonna avrebbe utilizzato un taser. A distanza di poche ore Vallo avrebbe colpito con una spranga di metallo la porta dell’abitazione in cui si trovava l’imputato e, una volta sceso in strada, gli aveva urlato: «Infame scendi, ti spacco la macchina». Poi era tornato verso casa e, a pochi metri dal suo appartamento, era stato raggiunto da Caradonna che gli aveva sparato mentre era di spalle. I primi tre colpi lo avevano raggiunto al dorso, al torace, al fianco sinistro ma, una volta a terra, l’imputato aveva continuato a sparare: altri otto colpi diretti al corpo ormai esanime di Vallo. Caradonna si era poi allontanato a bordo della sua macchina, che era stata ritrovata il giorno dopo a Fiumicino. Una ricostruzione confermata anche dalla Cassazione.
IL RICORSO
A nulla è valso il ricorso presentato dal legale dell’imputato, l’avvocato Angelo Staniscia, il quale chiedeva che venisse rivista la condanna per diversi motivi: il fatto che Caradonna fosse stato minacciato ripetutamente insieme all’ex compagna dalla vittima, quindi avesse diritto al riconoscimento dell’attenuante della provocazione «per accumulo»; la non sussistenza di un riscontro oggettivo del collegamento tra l’imputato e ambienti di criminalità organizzata; ma anche l’assenza di impronte di Caradonna sui bossoli trovati sulla scena del crimine. Tutti punti smontati dagli Ermellini, a partire dall’ultimo. Ci sono infatti per i supremi giudici «plurimi elementi di prova», tra cui «la sua presenza sul luogo dell’omicidio, lo stub positivo effettuato sulla vettura, la corrispondenza tra i bossoli rinvenuti sul luogo del crimine e quelli trovati in casa sua, la lite tra imputato e vittima pochi minuti prima dell’omicidio». Anche per quanto riguarda l’attenuante il ricorso è stato giudicato inammissibile perché «la reazione dell’imputato è stata talmente spropositata (dato anche il numero di colpi esplosi mentre la vittima era già a terra, ndr) da essere sproporzionata alla causa che l’avrebbe innescata». Infine il collegamento con gli ambienti criminali, assolutamente fondato per la Cassazione. Durante le perquisizioni infatti era stato trovato in possesso di armi, munizioni, ordigni esplosivi artigianali, documenti contraffatti, un’uniforme e materiale in dotazione ai carabinieri. «Beni non facilmente reperibili – si legge nella motivazione della sentenza – e di interesse per ambienti di criminalità organizzata».
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