In cinque anni le esportazioni della provincia di Napoli sono quasi triplicate: da 5,9 miliardi di euro del 2018 a 14,4 del 2023. Se poi si usano anche i dati dei primi nove mesi del 2024 (raffrontandoli con i primi nove mesi del 2018) si nota quanto la crescita sia stata ampia: l’asticella schizza in alto al 140%! Come possono crescere così tanto le esportazioni in un lasso di tempo tutto sommato nemmeno tanto ampio?
La risposta è l’innovazione: il salto è sostanzialmente determinato dall’irrompere sulla scena di un farmaco di Novartis per lo scompenso cardiaco prodotto nello stabilimento di Torre Annunziata e, attraverso un centro di distribuzione della casa farmaceutica in Svizzera, distribuito, in particolare, in Cina, Giappone e Corea.
Un farmaco “innovativo” che aiuta ad affrontare un problema di salute è frutto di ricerca e di investimenti sulla ricerca. Sia sulla ricerca fatta nelle aziende, in questo caso Novartis, sia sulla ricerca di base fatta nelle università e nelle altre istituzioni pubbliche. Non è quindi un caso che dove c’è stato il boom di esportazioni di farmaci il Global Ranking of Academic Subjects 2024, nota come Shanghai Ranking, collochi al terzo posto della classifica mondiale delle facoltà di Farmacia e Scienze farmaceutiche quella della Federico II: a precederla troviamo la Harvard University e il Peking Union Medical College. Per trovare un’altra italiana, dobbiamo scorrere la classifica fino al trentesimo posto dove troviamo l’Università di Milano.
La corsa dell’export: Napoli supera Padova e si avvicina a Monza
Le «cose», quindi, stanno insieme. Come pure per quanto riguarda il settore aerospaziale dove le «eccellenze» si influenzano a vicenda: se è vero che il settore (primo per valore tra il 2013 e il 2015 nell’export campano) non è oggi al primo posto perché sono cambiate le dinamiche industriali interne (la distribuzione dei lavori tra le principali aziende, per esempio, comporta che anche prodotti esportati, prevede che in Campania si realizzino fasi intermedie), non è, invece, cambiata la «dose» di ricerca prodotta in Campania sia in ambito universitario (il dipartimento di studi industriali con il corso di ingegneria aerospaziale è ritenuto un’eccellenza a livello mondiale), sia nelle strutture come il Cira (che in questi giorni ha celebrato i suoi 40 anni di attività).
L’innovazione, non di processo, ma di prodotto, sta permettendo una nuova, promettente vita alle conserve: l’arricchimento del portafoglio prodotti con i pomodorini gialli, i ciliegini, i datterini ha spostato un prodotto prima sostanzialmente povero su fasce di prezzo più alte e più remunerative sull’intera filiera. Inoltre, e non era scontato, le aziende hanno affrontato con successo la questione della Brexit e delle barriere tariffarie e non tariffarie (come i ritardi alle dogane). Insieme alla ricerca, l’altro fattore che ha permesso crescite migliori anche a settori tradizionali è l’intuizione di aprire subito a nuovi mercati portando prodotti vicini a quelle sensibilità senza tradirne le caratteristiche tipiche. In questo si inserisce il progetto sollecitato ai produttori di mozzarella di bufala dai distributori in Arabia Saudita di aprire un hub per la distribuzione dell’«oro bianco» per l’intero continente asiatico che naturalmente comporterà un sensibile aumento delle esportazioni.
È tutto questo che ha permesso alla provincia di Napoli a fine settembre scorso di superare nella classifica delle province esportatrici Padova, Reggio Emilia e Roma e avvicinarsi a un soffio da Monza e Brianza.
Dal sedicesimo al tredicesimo posto anche infrangendo la barriera dei dieci miliardi di export. Se si conosce la struttura (e la storia) industriale di Padova, Reggio e Emilia e Monza e Brianza si può comprendere il grande valore di questo risultato. Tenendo anche presente che queste tre province, rispetto a Napoli, hanno una localizzazione più prossima ai mercati europei (che sono quelli principali per l’Italia) e, quindi, hanno un vantaggio competitivo ampio.
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