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Emilia-Romagna, l’avvocato e professore Nicola Mazzacuva: «I reati calano ma non i reclusi. Costituzione e senso di umanità si sono persi»
Mentre il numero dei suicidi in carcere, sul finire dell’anno appena trascorso, stava per toccare il tragico record di 91 (mai così tanti), la Camera penale di Bologna da tempo aveva sollevato il tema della necessità di misure clemenziali, come l’indulto. Parola spesso invisa all’opinione pubblica ma che a Bologna, ad esempio, il 30 novembre, proprio in una mobilitazione pubblica indetta dalla Camera penale in piazza Lucio Dalla, ha raccolto l’adesione del Comune e di più di 30 associazioni.
Professor Nicola Mazzacuva, presidente della Camera penale bolognese, pensa che i tempi siano maturi per un nuovo indulto?
«È da tempo che nella società diverse realtà chiedono provvedimenti clemenziali. Già nel 2016, come Unione Camere penali abbiamo partecipato alla marcia per l’amnistia a Roma, che arrivò in Vaticano. L’unico presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ad aver chiesto formalmente alle Camere un provvedimento di indulto è rimasto inascoltato. L’ultimo risale al 2006, ma gli istituti previsti dal codice Rocco hanno sempre avuto un ruolo nella politica di gestione criminale, anche se sono percepiti come negletti, controproducenti rispetto al populismo penale. Eppure le statistiche ci dicono da tempo che si sono ridotti notevolmente gli omicidi ma anche i reati in genere, mentre cresce sempre di più il numero di detenuti: sono 62.000, una cifra intollerabile in rapporto ai posti disponibili, meno di 48.000. I più autorevoli commentatori ci dicono che questa situazione che non dà speranze, prospettive di rieducazione, contrasta con i nostri principi costituzionali sull’umanizzazione della pena e la finalità rieducativa».
Il governo Meloni è concentrato su altre riforme in tema di giustizia. Pensa che questo Parlamento potrebbe mai approvare un provvedimento di clemenza come l’indulto?
«È una misura che viene sollecitata da più parti. Il ministro Nordio sa bene che l’indulto è una misura di facile attuazione, i testi sono composti solitamente da un massimo di due articoli, uno sull’entità del condono della pena, dai 6 mesi ai 3 anni, uno sull’esclusione dei reati da selezionare, come è giusto che sia. L’indulto non è una clemenza cieca. Nel 2006 prevedeva il condono di tre anni di pena residua, a dispetto di quanto si dice non ha prodotto recidiva. La percentuale di recidivi che ha beneficiato dell’indulto è inferiore alla percentuale di recidivi che aveva espiato interamente la pena in questa situazione carceraria. Persino nel fascismo c’erano provvedimenti di amnistia. I numeri dei suicidi in carcere ci dicono che per la maggior parte erano detenuti giovani che avevano da scontare residui brevi di pena».
I numeri sono drammatici…
«L’Unione delle Camere penali ha fatto affiggere negli uffici giudiziari, anche in quelli di Bologna, una locandina che riporta il “tragico contatore” dei suicidi in cella nel 2024: 91, un numero record, a cui vanno aggiunti sette agenti di polizia penitenziaria. E poi ci sono le altri morti in carcere: perché si deve morire in cella se fuori le malattie, magari anche gravi, si possono curare? Sono numeri che testimoniano un contrasto con quella che è considerata la Costituzione più bella del mondo, ma che rischia di rimanere solo sulla carta. Mi piace ricordare il primo articolo del Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo, che osserva come “in materia penale principi e limiti implicano sempre dei costi di fronte alle manifestazioni del crimine”. In caso contrario sono inutili declamazioni astratte”».
L’indulto comunque resterebbe una soluzione emergenziale che non risolverebbe gli altri problemi legati al mondo del carcere.
«Ma è quella più immediata. Le altre prospettive di rieducazione, lavoro esterno al carcere, organico sottodimensionati sono più problematiche e non compatibili con tempi brevi».
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