“Guerra santa alla tecnologia e a Musk, sinistra come i no vax. Meloni parla al paese più vitale”

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Pierluigi Battista, a lungo columnist del Corriere della Sera dal cuore liberale, oggi scrive su Huffington e guarda poco la tv. Qualche giorno fa, però, è incappato in una intervista che lo ha mandato su tutte le furie.
«Per caso stavo sentendo un intervento di Michele Santoro, poche ore prima della liberazione di Cecilia Sala, in cui diceva che questo governo voleva approfittare del silenzio stampa per compiere delle nefandezze che avrebbero allontanato la prospettiva della sua liberazione. Sappiamo tutti come è andata a finire», dice prima che possa porgli la prima domanda. Poi ci prende in contropiede: «Voglio fare io una domanda a te: c’è da ridere o c’è da piangere?»

Probabilmente tutte e due…
«Tutte e due? Io dico che c’è da piangere. Perché questa abitudine alla demolizione preventiva, alla delegittimazione a prescindere, al sospetto che l’alternanza al governo sia un male se a vincere sono i nemici, e che si parli di nemici della democrazia quando perdi le elezioni perché non hai argomenti per vincerle… ecco, tutta questa fotografia della sinistra sta diventando insopportabile».

È la notoria superiorità morale che dovrebbe avere la meglio sulla politica.
«Una idea saccente. ‘Noi siamo i più competenti, i più bravi’, che taccia gli avversari di una partecipazione quasi abusiva all’establishment, che davvero non si può più sentire».

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E che però incontra l’altra retorica, a destra, dell’underdog.
«La biografia politica di Giorgia Meloni è estranea all’establishment dominante, è estranea a tutte le sfere del potere e davvero si è fatta da sola, con una maturazione politica tutta interna al suo partito. I detentori del primato morale non riescono a riconoscere quella scuola, ed è peggio di una delegittimazione. Questo fa piangere: un avvitamento della sinistra che guarda al passato, all’autoconservazione».

Un paradosso politico vero, il progressismo conservativo?
«Adesso stanno diventando talmente conservatori da rifiutare la tecnologia. Sono diventati tecnofobi: le costellazioni satellitari sono il nemico. Parlano della ‘tecnodestra’. Io da liberale sono convinto che tutte le concentrazioni monopolistiche siano un male per un capitalismo sano. Ma da questo a fare la guerra santa contro la tecnologia, senza chiedersi cosa sia utile o meno, mette la sinistra allo stesso livello dei no vax».

Addirittura?
«Ma certo. Si sentono gli stessi accenti che si sentivano sulle manovre oscure di big pharma, riferite oggi a Elon Musk. Si può fare dibattito, certo. Ma che si lanci un progetto per connettere a internet veloce tutti gli italiani, che ci siano comunicazioni sicure a prova di hacker, che venga meno il ‘Comitato del fact-checking’ per rendere più libera Facebook, ecco queste sono battaglie di libertà che questa sinistra sta regalando alla destra».

Dopo aver regalato già un ricco patrimonio: il potere d’acquisto tolto alla classe media, l’insicurezza nelle città (come riconosce Veltroni), il garantismo rispetto alla giustizia…
«Le tasse! In un paese in cui tutti sono sopraffatti dalle tasse, la sinistra le loda. E anziché parlare a quei milioni di partite iva che potrebbero anche essere di sinistra, parlano a un elettorato sempre più limitato, invecchiato, autoprotettivo».

Mi viene in mente la dicotomia tra Craxi e Berlinguer. Decisionismo, mercato e libertà contro statalismo e austerità…
«È un po’ l’errore che fece la sinistra negli anni Ottanta. Quello di Meloni però non è solo decisionismo craxiano. Meloni è una leader del secolo nuovo, le opposizioni sono quelle del secolo scorso. Voltano le spalle alla contemporaneità, diventano reazionari, parlano di nostalgia del bel tempo antico, di come eravamo buoni e belli una volta…»

Sono nostalgici perché non hanno più idee, non trovano più uno spazio?
«Fanno analisi, forse non si pongono le domande giuste. Certamente si danno le risposte sbagliate. La destra dà una immagine di sé vitalista, energica, aperta. La sinistra dà di sé una immagine pretestuosa. E luttuosa».

Cos’è che è morto?
«Il vecchio mondo. Che loro ricercano, evocano ogni volta che possono. Un esercizio che nel contesto che cambia così velocemente risulta ogni giorno più anacronistico. E li condanna a rimanere fuori dal governo, credo, ancora per lunghi anni».

Tra la ricerca di vecchie logiche, quella della giustizia come arma supplementare…
«C’è una fotografia tremenda che la dice lunga. E grida vendetta. Schlien, Conte, Fratoianni e Bonelli che vanno in piazza a Genova per manifestare a favore delle manette per Giovanni Toti. In quella piazza si chiedeva il mantenimento degli ordini di custodia nei confronti di un arrestato ancora senza processo. Hanno il volto cupo e lugubre di una magistratura che non accetta di limitare la sua onnipotenza. Sono contro la scienza, contro la libertà di espressione, imprigionati in un incubo woke. Gridano all’antifascismo in ogni momento e quando arrivano le persecuzioni contro gli ebrei, non dicono niente. Vivono nell’ipocrisia assoluta. Per questo mi viene da piangere».

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Il luddismo nasce dal movimento operaio, il Pci era contrario alla televisione a colori.
«Vero, ma nella storia della sinistra c’è stato anche il contrario. Lenin diceva: “Soviet e elettrificazione”, c’era nel mondo socialista – anche italiano – il mito della grande fabbrica».

E oggi?
«Il problema è che finita la grande fabbrica, la sinistra di oggi galleggia nel nulla, senza più una sua base sociale. Il silenzio della Cgil sulla crisi Stellantis rimarrà negli annali dell’omertà ideologica. Sono prigionieri delle loro stesse gabbie. E l’effetto qual è? Che la destra governerà per i prossimi cinquant’anni essendosi messa, la sinistra, in questa posizione ostinatamente perdente».

Un giudizio tombale. Non si salva nessuno, non vede nessun emergente, nel centrosinistra?
«Se dovessi salvare qualcuno, sarebbe il nuovo governatore dell’Emilia-Romagna, Michele De Pascale. Giovane, preparato. Appena eletto ha detto che nella sua regione c’è un solo termovalorizzatore, lui ne vorrebbe due. Ecco, così dovrebbe parlare un dirigente di sinistra che guarda al futuro».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.

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