Nell’ultimo anno e mezzo è stato protagonista in negativo per ben due volte, prima esplodendo in via Saffi nel maggio 2023, poi determinando alluvione e vasti allagamenti nell’autunno 2024. È il torrente Ravone, il corso d’acqua naturale che è diventato il terrore della zona ovest della città di Bologna ai tempi della crisi climatica.
Ieri proprio il Ravone è stato oggetto di un sopralluogo del neo-presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele de Pascale, che dal suo insediamento sta visitando i luoghi colpiti dai disastri dei mesi scorsi. Ad accomparlo, il sindaco di Bologna Matteo Lepore, i tecnici dell’Agenzia per la Sicurezza Territoriale, ma anche Federico Grazzini, vice-presidente del Quartiere Porto-Saragozza, meteorologo e soprattutto colui che già dieci anni fa metteva in guardia sui rischi che il torrente avrebbe potuto generare.
Il torrente Ravone e lo scoglio delle competenze per la messa in sicurezza
È proprio Grazzini, ai nostri microfoni, a raccontare il sopralluogo di de Pascale e la situazione del torrente. «Il presidente della Regione si voleva rendere conto di persona di cosa fosse successo e quali fossero le criticità e le ipotesi sui lavori da svolgere», racconta Grazzini.
Il problema del torrente Ravone ormai è tristemente noto: si tratta di un corso d’acqua naturale nel tratto collinare, ma che arrivato in città scorre in una tombatura che lo costringe a passare sotto strade e palazzi di Bologna. È per questa ragione che gli interventi necessari per la sua messa in sicurezza, in modo da evitare ciò che è accaduto nell’ultimo anno e mezzo si possa ripetere, diventano piuttosto complessi.
A monte di tutto ciò, però, c’è un nodo che al momento rappresenta lo scoglio più grosso prima dei lavori da effettuare sul Ravone ed è quello delle competenze. L’ordinamento italiano prevede uno spezzettamento di competenze nella gestione idrica e sul torrente la questione è ancora più intricata per il fatto che alcuni tratti sono in concessione a privati con cui occorre interfacciarsi.
«La tombatura del Ravone complica moltissimo tutti gli interventi che si dovrebbero fare, perché ci sono tante interazioni con le strade, i palazzi, i cortili e i garage – osserva Grazzini – ma soprattutto dal punto di vista amministrativo, cioè chi deve fare i lavori, come devono essere fatti e chi deve fare la progettazione complessiva. Questo è un tema ancora da risolvere».
Il presidente de Pascale ieri è sembrato determinato a voler sciogliere questo nodo per arrivare a una soluzione. Allo studio ci sono ipotesi giuridiche che possano semplificare l’individuazione di competenze e responsabilità pur in un quadro normativo ambiguo.
«Risolto questo nodo, gli interventi potranno essere difficili in città, però qualcosa si deve fare», sottolinea Grazzini. Del resto ciò è anche quello che chiedono i residenti della zona, che sono stati duramente colpiti dagli episodi alluvionali degli ultimi tempi e che manifestano preoccupazione che il disastro possa ripetersi.
Le tre ipotesi di intervento sul Ravone
Dal punto di vista tecnico le soluzioni per la messa in sicurezza sul Ravone si muovono su tre filoni, racconta Grazzini, che precisa come i tecnici sia della Regione che del Comune stiano studiando le possibili ipotesi.
Un punto, per il quale lo stesso vice-presidente del Quartiere ha verificato la possibilità in un’escursione lungo il tracciato del torrente, è la possibilità di realizzare micro-invasi che rallentino a monte parte delle acque nei momenti di emergenza. Una soluzione, però, che non appare definitiva per la morfologia del luogo: «Quella è una valle stretta – rimarca Grazzini – soggetta a frane e smottamenti, in più ci sono delle case». In altre parole: non c’è lo spazio per una cassa di espansione che risolva completamente il problema.
È questa la ragione che rende necessari lavori complementari di aumento della portata delle condotte in città, che rappresentano una seconda ipotesi di lavoro. Una prospettiva ospita, data la complessità prima enunciata, ma non impossibile.
Infine c’è anche una terza ipotesi o eventualità: quella di deviare parte delle acque del Ravone nel Reno.
Soluzioni diverse, insomma, di cui si vaglia la fattibilità, ma che al momento non hanno ancora portato a una decisione.
ASCOLTA L’INTERVISTA A FEDERICO GRAZZINI:
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