Bibbiano, il consulente: «Un singolo colloquio non basta per arrivare ad una diagnosi solida»

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Un singolo colloquio tra psicologo e paziente, così come fatto dalla dottoressa Elena Francia e dalla dottoressa Rita Rossi, consulenti del pubblico ministero, non è sufficiente per arrivare a diagnosi solide. Una valutazione approfondita, infatti, deve includere diverse fonti, tra cui la scuola, la neuropsichiatria infantile e una pluralità di colloqui. A dirlo questa mattina, nel corso del processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, è stato Sergio Maria Corazza, psichiatra – psicoterapeuta, neuropsichiatria infantile, già docente dell’Università di Bologna, consulente della difesa di Federica Anghinolfi, ex responsabile del Servizio, rappresentata dagli avvocati Rossella Ognibene e Oliviero Mazza. Corazza ha sottolineato la necessità di utilizzare un metodo medico-legale nell’accertamento delle lesioni, che devono essere analizzate attraverso visita medica, anamnesi di patologie pregresse e attuali e una valutazione psicologica completa. È essenziale, ha affermato, comprendere la causa della lesione e la sua evoluzione nel tempo, seguendo linee guida ufficiali, comprese quelle ministeriali, che, pur non essendo obbligatorie, sono altamente consigliate.

Nel suo intervento, Corazza ha evidenziato come nelle relazioni delle dottoresse Elena Francia e Rita Rossi, consulenti della pm Valentina Salvi, ci fossero difformità e nessuna prova del nesso causale tra l’allontanamento dei minori e le ipotesi di malattia. In particolare, ha posto l’accento sull’importanza di avvertire il minore che sarà ascoltato da un magistrato e sulla necessità di raccogliere documenti e valutazioni di altri professionisti, come la scuola e il medico di base. La mancata visione delle cartelle cliniche potrebbe compromettere l’affidabilità della valutazione complessiva. Corazza ha spiegato che le consulenti non hanno effettuato le fasi necessarie per una valutazione completa, come colloqui clinici approfonditi. In un caso, addirittura, un minore è stato ascoltato solo per 27 minuti, un tempo insufficiente per formulare una diagnosi adeguata. È invece fondamentale, ha evidenziato, condurre più colloqui per creare empatia e costruire una solida alleanza terapeutica con il minore, in base all’età e alla situazione.

Corazza ha anche sottolineato l’importanza di acquisire e analizzare la cartella clinica dell’Asl, documentazione che non è stata presa in considerazione dalle consulenti del pm. Le consulenze si sono infatti basate solo sugli atti di indagine e sulle informazioni sommarie di insegnanti, raccolte da polizia giudiziaria e non raccolte da psicologi; sarebbe stato necessario il colloquio condotto direttamente dalla psicologa con insegnanti e insegnanti di sostegno con una formulazione di domande che avessero la finalità di una analisi clinica. Il professionista ha poi ribadito che un consulente può chiedere l’integrazione del quesito se rileva lacune e che i test psicologici non devono essere considerati come unici indicatori, ma come parte di un quadro complessivo. In merito alla possibilità che i test causino danni, come ipotizzato dalle consulenti dell’accusa, Corazza ha precisato che, al limite, si può verificare un rifiuto del test, ma si tratta di casi eccezionali. Ha anche sottolineato che il consulente non ha il compito di accertare i fatti, ma solo di analizzarli senza commentarli.

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Un’altra criticità emersa riguarda la consulenza del Ctu Giuseppe Bresciani, che aveva incontrato più di dieci volte una minore, somministrando anche dei test, ma il suo lavoro non è stato tenuto in considerazione dalle consulenti dell’accusa. Corazza ha evidenziato l’importanza di un’analisi retrospettiva in caso di patologie complesse come il disturbo post-traumatico, criticando l’assenza di tale analisi nella consulenza di Rossi. Secondo Corazza, infatti, non si può collegare il danno all’allontanamento senza considerare altre possibili cause. Inoltre, ha aggiunto che la letteratura recente dimostra che le malattie psichiche sono suscettibili di cambiamenti. Nel caso della minore K., Corazza ha sottolineato l’assenza di un’analisi pediatrica da 0 a 9 anni, che sarebbe stata fondamentale per una valutazione completa.

Al termine dell’esame, la pm Valentina Salvi ha posto alcune domande senza entrare nel merito delle critiche sollevate dalla difesa, esplorando altri aspetti marginali rispetto all’oggetto della consulenza, limitato alla valutazione delle metodologie utilizzate dalle consulenti del pm; il consulente tecnico della difesa non doveva però completare il lavoro già fatto, cosa che peraltro non sarebbe stata possibile, non avendo potuto incontrare i minori. Tra le altre cose, Salvi ha chiesto se il consulente avesse analizzato gli atti di indagine. Alcuni punti sono stati criticati in sede di controesame per la mancanza di precisione riguardo alcuni documenti, sebbene Corazza avesse effettivamente visionato tutti gli atti rilevanti.



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