La tabella di marcia dell’iter della riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario procede a passo lento. Ma inesorabile, stando a quanto dichiarato dalla presidente Giorgia Meloni, che ha blindato la riforma, ora all’esame della Camera. Talmente blindata da rendere ormai certa una cosa: quello a Montecitorio sarà l’unico e ultimo voto sulla separazione delle carriere. E i successivi passaggi rappresenteranno dei semplici “timbri” rispetto ai quali le opposizioni nulla potranno fare, se non sperare nel referendum che dovrebbe avere luogo l’anno prossimo.
La discussione ripartirà martedì 14 gennaio, nel pomeriggio. In mattinata, invece, dopo mesi e mesi di ritardo, le Camere voteranno l’elezione dei quattro giudici costituzionali mancanti, un voto che non può più essere rinviato, come rimarcato, con eleganza, dal rinvio disposto da una Consulta ormai a ranghi ridotti sul voto che decreteràil destino del referendum sull’autonomia differenziata. Il momento è delicatissimo. Ed è proprio in momenti del genere che i retroscena trovano terreno fertile.
Quello più succoso viene offerto dal Manifesto, secondo cui i due momenti – separazione ed elezione dei giudici costituzionali – non sarebbero separati. Meglio ancora: ci sarebbe odore di «baratto» all’interno della maggioranza, con Forza Italia che prova a piazzare al Palazzo della Consulta il senatore Pierantonio Zanettin. La maggioranza ha a disposizione due caselle. E se la presidente Giorgia Meloni non è disposta a rinunciare al suo consigliere Francesco Maria Marini, gli spazi di manovra rimangono stretti. Così – questo il retroscena – Forza Italia avrebbe ritirato l’emendamento che proponeva di mantenere l’elezione dei laici in Consiglio superiore della magistratura in cambio di una poltrona a Palazzo della Consulta. «Ridicoli, non sta né in cielo né in terra», commenta senza troppi giri di parole il deputato forzista Enrico Costa. E il diretto interessato, Zanettin, non è meno netto nel respingere l’ipotesi: «Bufala totale», afferma. La circostanza è utili per smentire un’altra delle voci circolate, ovvero l’intenzione di Forza Italia di riproporre in Aula, alla ripresa a inizio settimana prossima, il famoso emendamento sui laici.
Costa, in questo caso, si limita ad un secco «no». Il deputato forzista è stato anche l’unico della maggioranza ad intervenire giovedì in Aula. Rompendo un silenzio da parte della maggioranza che era stato interpretato, ancora una volta, come sintomo di un lavoro dietro le quinte. «L’accusa è la vera sentenza che viene trasferita
al cittadino e il ribaltamento è anche soggettivo perché non la pronuncia il giudice, la pronuncia il pubblico ministero – ha dichiarato il deputato -. Il giudice, durante le indagini preliminari, si finge morto. Perché, se prova a interferire con il disegno del pubblico ministero, negando una proroga alle indagini, negando le intercettazioni, negando un’ordinanza di custodia cautelare, prosciogliendo all’udienza preliminare, viene accusato di uccidere la giustizia, viene accusato di non fare giustizia, come abbiamo visto in moltissime circostanze, perché la forza del pubblico ministero è una forza mediatica fortissima». Un sistema «agghiacciante, che è quello del marketing».
C’è un unico assente in quella fase, ha aggiunto Costa: «È la difesa. La difesa non c’è, perché l’accusa viene trasferita al cittadino direttamente e quei riflettori presenti alla conferenza stampa poi si spengono durante il processo. La fase del processo dovrebbe essere la base, perché noi parliamo del giusto processo oggi, lo abbiamo in Costituzione, lo vogliamo affermare».
La riforma costituzionale serve dunque «a fare chiarezza, a rafforzare la presenza del giudice e a rafforzare anche quei magistrati» che lavorano in silenzio e onestamente. Costa è intervenuto per rispondere a Filiberto Zaratti di Avs, secondo cui il rischio è quello di una «crescita esponenziale del potere del pm», che uscirebbe fuori dalla cultura della giurisdizione avvicinandosi alla funzione di polizia. «Noi non abbiamo bisogno di un “avvocato della polizia”, ma di un organo di giustizia, che sappia esercitare un ruolo efficace e corretto di direzione della polizia giudiziaria» . Un discorso che fa il paio con quello del togato Roberto Fontana, consigliere indipendente al Csm e tra i relatori del parere che ha bocciato la riforma: la separazione creerebbe, a suo dire, «un corpo di magistrati privi di cultura giurisdizionale, in sintonia con la mentalità dominante e le prassi degli organi di polizia giudiziaria, nel ruolo di un’ottica di un avvocato dell’accusa, aprioristicamente indirizzato verso l’obiettivo accusatorio», cambiando dunque «il dna della magistratura inquirente» e creando inevitabilmente «le premesse, in una prospettiva di equilibrio dell’ordinamento, per l’attrazione del pubblico ministero nella sfera della potere esecutivo», proprio per arginare lo strapotere che si verrebbe a creare.
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