Su Los Angeles soffia il vento del cambiamento climatico

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La sintesi – quanto meno emotiva – della situazione a Los Angeles l’ha data la prima del LA Times che ieri titolava a piena pagina: «È bruciato tutto». La frase è riferita alle oltre 6.000 strutture distrutte dalle fiamme (che potrebbero facilmente salire a 10.000) ma applicabile anche alla psiche della popolazione che contempla, anche dai molti quartieri risparmiati dalle fiamme, un evento destinato a entrare negli annali come il più distruttivo di una storia pur costellata da calamità naturali. (Non ha aiutato il malfunzionamento del sistema di allerta automatico che ieri notte ha preso a inviare ordini erronei di evacuazione a cittadini dell’intera contea).

DALLA CRISI ACUTA di inizio settimana, si è nel frattempo passati a un regime di contenimento. Col calare dei venti le fiamme vive si sono ritirate sulle colline circostanti dove i focolai continuano tuttavia a costituire in pericolo per comunità come Malibu Topanga canyon. Soprattutto le fiamme che covano tuttora sotto la vegetazione incombono come potenziale miccia di nuovi potenziali episodi incendiari in caso di nuovi venti che il meteo prevede come possibili a partire dalla prossima settimana. L’unica cosa che potrebbe davvero porre fine all’emergenza sarebbero le piogge di cui non vi è traccia in città da maggio scorso. Gli incendi di Los Angeles devono a tutti gli effetti essere considerati una catastrofe climatica dovuta all’intensificarsi di cicli naturali.

NELLE MACERIE fumanti sono state per ora rinvenuti diecicadaveri, numero anche questo destinato a incrementare, mentre migliaia di persone che hanno perso la casa non possono ancora fare ritorno dalle zone evacuate. Complessivamente gli sfollati sono stati oltre 180.000. Molte persone hanno trovato riparo da amici e parenti, strutture alberghiere o centri di accoglienza allestiti in scuole ed edifici pubblici. Airbnb ha messo a disposizione 25.000 alloggia titolo gratuito.
Nelle fiamme sono andate perdute strutture storiche come la tenuta di Will Rogers sopra Sunset Boulevard, dove la star del muto era solito intrattenere ospiti come Walt Disney, Clark Gable e Charles Lindbergh. Il ranch era stato trasformato in parco a Pacific Palisades, il quartiere cresciuto attorno a quelli che, a partire dagli anni ’10, erano stati i Bison Studios di Thomas Ince. Successivamente sviluppato in comprensorio a tema «di riviera italiana», nel quartiere avevano riseduto illustri profughi europei come Thomas Mann, Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Lion Feuchtwagner.

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FRA LE STRUTTURE distrutte c’è anche lo storico Topanga Ranch motel costruito da William Randolph Hearst e gioielli del modernismo come la Keeler House dell’architetto Ray Kappe. Le fiamme hanno lambito, ma per ora risparmiato la Villa Getty e la storica Eames House.
Storico, anche se meno ostentatamente benestante, anche il quartiere di Altadena, andato in fumo dall’altra parte della città, caratterizzato da molti edifici di inizio del secolo scorso ed una importante comunità middle-class afroamericana. Nella vicina Pasadena, lo stadio Rose Bowl, quello della finale dei mondiali del 1994, è stato ora trasformato in centro operativo e di ristoro per i vigili del fuoco.

FRA QUELLI in rotazione sulle prime linee dell’incendio vi sono circa 800 detenuti-pompieri, secondo la pratica, comune in questi casi, di utilizzare brigate di carcerati per abbattere le fiamme. Accampati sul territorio, i prigionieri vengono pagati dieci dollari al giorno e lavorano guardati a vista, promemoria che negli Stati uniti lavorano, a volte a titolo del tutto gratuito, decine di migliaia di detenuti, i cui servizi vengono appaltati dallo stato a più di 4.000 società che li utilizzano come forza lavoro sottocosto. Lo scorso novembre, in California non è stato approvato un referendum che avrebbe abrogato questa sostanziale forma di residua schiavitù.
I danni complessivi della catastrofe sono preliminarmente stimati in circa 50 miliardi di dollari, cifra che prelude ad un’altra potenziale crisi. Ieri il commissario per le assicurazioni, Ricardo Lara ha annunciato una moratoria di un anno sull’annullamento pretestuoso delle polizze nelle zone interessate dal disastro (pratica comune di mote aziende). Molte società di assicurazioni avevano già precedentemente abbandonato il mercato californiano in quanto eccessivamente rischioso.

È VIRTUALMENTE certo che alla luce delle richieste di risarcimento, molte società tenderanno a ridurre ulteriormente la propria esposizione al rischio californiano o a “socializzare” le perdite con rincari generali delle polizze nello stato. Si prospetta insomma la dinamica per cui la popolazione si troverà a sovvenzionare di fatto la ricostruzione di residenze di lusso in ecosistemi sempre meno sostenibili. Né si può escludere il potenziale di un contagio che, attraverso strumenti finanziari, possa avere ripercussioni globali come fu per i mutui subprime.
Come spesso è stato, l’emergenza di Los Angeles sintetizza iìaspetti ecologici, urbanistici e capitalisti della crisi che accomuna molto sviluppo moderno.



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