Camilla (Italia) e George (Camerun) sposati dal 2013, hanno due figli – Maria Scampoli
«Inostri figli conoscono la Bibbia e il Corano, perché entrambi siamo religiosi. A scuola non mangiano il maiale e spieghiamo il perché agli altri genitori ». L’antropologa 38enne Bruna D’Angelo, responsabile di una comunità di minori stranieri non accompagnati, è sposata da 8 anni con il mediatore culturale Amadou Keita, guineano 43enne. Si sono conosciuti lavorando insieme e poi «innamorati parlando a lungo, scoprendo che in fondo avevamo gli stessi obiettivi e valori», spiega Bruna. Con il marito coordina il gruppo catanese di Aifcom, Associazione italiana famiglie e coppie miste, che nei giorni scorsi ha presentato a Roma Io festeggio due volte. Le coppie e le famiglie miste in Italia tra legami, discriminazioni, risorse, prima ricerca nazionale su questo fenomeno ormai diffuso nel nostro Paese, ma ancora motivo di pregiudizi.
Un lavoro durato tre anni e realizzato insieme al Centro Studi Confronti, con l’obiettivo di offrire «una panoramica oggettiva e lontana dagli stereotipi sullo stato di salute di una realtà sociale complessa e variegata che, di fatto, è un laboratorio interculturale e interreligioso dell’Italia di oggi», commenta Alessandro Cirioni, presidente di Aifcom che ha contribuito a fondare 10 anni fa «con un’impronta ecumenica e interreligiosa. Ci ha colpito un messaggio di pace e di sfida da parte delle famiglie miste, perché le differenze culturali e religiose molte volte vengono descritte come motivo di conflitto e ostacolo, invece sono una risorsa e una ricchezza». La ricerca è partita da un questionario che ha coinvolto 424 persone, di cui 157 coppie e 110 partner singoli. Inoltre sono stati condotti 9 focus group in 7 città (Torino, Milano, Trento, Bologna, Roma, Palermo e Catania) per sondare le esperienze di 25 coppie tra i 30 e i 65 anni, 19 delle quali sposate e 18 con figli. Gli anni di relazione vanno da un minimo di 3 a un massimo di 30. L’età media delle relazioni delle coppie è di circa 11 anni e il 66% delle coppie coinvolte ha prole, con una media di 1,7 figli per nucleo familiare. I partner hanno in media 40 anni e vivono in unioni dove il partner migrante risiede in Italia mediamente da oltre 10 anni. Il 66% del campione ha figli con il/la proprio/a partner, il 12% da una relazione precedente. Nell’85% dei casi la famiglia d’origine del partner straniero risiede nei Paesi di provenienza.
Diversi gli episodi di razzismo e discriminazione riferiti dalle coppie – dovuti all’origine culturale, religiosa o alla differenza del colore della pelle –, che riguardano anche i figli: avvengono su mezzi pubblici, presso uffici e istituzioni, al lavoro o a scuola, per strada. Fra le difficoltà all’interno della relazione, compaiono il dialogo, la comunicazione, le famiglie d’origine, le differenze culturali e religiose, ma anche le pratiche burocratiche per sposarsi, il riconoscimento dei titoli di studio, il permesso di soggiorno, la ricerca di una casa. Non solo: gli intervistati dichiarano di non avere «una buona relazione con la famiglia d’origine del proprio partner, a volte per l’assenza della famiglia d’origine (che nel caso della famiglia del partner migrante risiede spesso fuori l’Italia), oppure per difficoltà inerenti le differenze culturali, religiose o per questioni legate a forme di razzismo». Dichiara di essere religioso ben il 45% del campione, di cui il 34% pratica la propria religione «spesso», poco più del 30% «a volte», il 28% «mai». I cristiani sono il 50%, i musulmani poco più del 40%, mentre il 3% è buddhista. «Incrociando i dati tra chi si dichiara religioso e chi celebra insieme alcune ricorrenze legate alla religione dell’uno o dell’altra, le risposte evidenziano come più del 90% delle persone le festeggia insieme. La percentuale è significativa anche tra coloro che non si dichiarano religiose o religiosi, raggiungendo il 70%».
Quindi «le famiglie sono solite festeggiare e condividere insieme le ricorrenze religiose dell’uno e dell’altra in uno spirito di supporto, sostegno e trasmissione dell’identità». Su poco più della metà degli intervistati, «il 61% ha dichiarato che le fedi religiose sono di supporto e aiuto alla relazione. Considerando solo il sotto-campione di chi si dichiara religioso, la percentuale dei rispondenti sale al 76%; tra questi l’84% ritiene che le loro fedi svolgano un ruolo importante nella loro esistenza». Tra i genitori che hanno figli, «il 58% si considera religioso. Secondo il 66% dei rispondenti, le rispettive fedi non creano mai difficoltà; per il 29% questo accade a volte; mentre per il 46% la religione svolge un ruolo importante nell’educazione dei figli». Secondo lo psicologo sociale Alberto Mascena, supervisore scientifico della raccolta dati e della metodologia per Aifcom, «le famiglie miste sono micro-laboratori dove si sperimentano nuove forme di coesistenza delle differenze: le strategie che individuano per far convivere culture e religioni diverse possono essere un esempio per tutti. La religione è una risorsa e un punto di forza non solo per tenere insieme la coppia, ma tutta la famiglia. Le coppie cristiano-musulmane possono funzionare, quindi».
Wei (Cina) e Jacopo (Italia) – Maria Scampoli
Per la giurista Ilaria Valenzi, docente presso La Sapienza Università di Roma e coordinatrice del Centro studi Confronti, «il soggetto che discrimina le persone e le coppie miste come nucleo è l’agente istituzionale: il rapporto con i servizi che lo Stato offre fa passare per una trafila vissuta come profondamente discriminatoria. Qualche esempio? La procedura di rinnovo del permesso di soggiorno, del ricongiungimento con la famiglia di origine, del riconoscimento dei titoli di studio. La seconda grande sfera è la rete delle relazioni familiari e amicali. La ricerca restituisce la visione di un Paese profondamente arretrato, ostile nei confronti delle coppie e famiglie miste».
E la sociologa Laura Odasso, docente a CY Paris UnIversité & Collège de France, ha riferito che «si stimano in Europa circa 32 milioni di coppie binazionali, ma sono dati parziali. Ma per chi sceglie un partner non europeo, i disagi provocano effetti a cascata sui figli: le persone europee subiscono una sorta di declassamento nella loro cittadinanza, a seconda della politica migratoria del Paese in cui la coppia risiede e dell’applicazione delle norme. Le coppie miste subiscono trattamenti differenziali per un razzismo istituzionale», ha osservato. Mentre l’antropologa Francesca Carbone, ricercatrice Aifcom, ha auspicato la facilitazione e l’accompagnamento del matrimonio interreligioso: « Lo chiediamo alle varie Chiese e fedi»
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