DISABILI & IMPRESE/ Dal Regno Unito un aiuto prezioso per i diversity manager

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Sull’inclusione delle persone disabili, buone prassi da applicare anche in Italia si possono trarre dalla ricerca pubblicata sul British Journal of Industrial Relations a opera di J. E. Booth e D. Lup dal titolo Enabling Inclusion: An Analysis of Positive and Negative Outcomes of Discretionary Work Arrangements for Employees With Disabilities.



A favore delle persone fragili l’impresa o comunque la comunità deve realizzare “accomodamenti ragionevoli” in termini organizzativi per venire incontro alla disabilità e all’inidoneità sopravvenuta. Anche lo smart working può essere considerato un “accomodamento ragionevole”, che consente al lavoratore di poter continuare a svolgere il diritto/dovere al lavoro sancito dall’art. 4 della Costituzione. L’impresa o la scuola o l’università, sono di quelle “formazioni sociali” ove si svolge la personalità umana, in cui si richiede il rispetto dei “doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale” sanciti dall’art. 2 della Costituzione.

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La Direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro “mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate (su) (…) gli handicap (…) per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento”. L’art. 5 – di cui il comma 3 bis dell’art. 3 del D.Lgs. n. 216 del 2003 costituisce diretta emanazione – intitolato “Soluzioni ragionevoli per i disabili”, statuisce: “Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli”. L’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Ue proclama: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul(…)la disabilità”.



La complessità della normativa in materia di accomodamenti ragionevoli richiede alle aziende un’attenta valutazione delle singole situazioni e l’adozione di soluzioni personalizzate. Lo studio inglese prima citato indaga la relazione tra disabilità e lavoro a partire proprio da una delle aree di intervento considerate fondamentali per promuovere l’inclusione delle persone con disabilità, ovvero gli accordi di lavoro flessibile in ordine alle modalità, ai luoghi e ai tempi di svolgimento della prestazione lavorativa. Il nostro recente d.lgs. 3 maggio 2024, n. 62, attuazione della legge 21 dicembre 2021, n. 221 in tema di disabilità, oltre a innovazioni importanti in tema di definizione della «condizione di disabilità», di unificazione procedurale sotto la competenza dell’Inps dei procedimenti volti all’accertamento di tali condizioni, di introduzione del «progetto di vita» volto all’inclusione e partecipazione sociale della persona con disabilità, contiene anche previsioni di immediato e specifico interesse lavoristico. La recente riforma prevede che al rifiuto ingiustificato di adottare gli accomodamenti ragionevoli è possibile reagire con ricorso all’autorità giudiziaria (legge n. 67 del 2006) e, adesso, anche con richiesta alla recentemente istituita Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, volta alla verifica della discriminatorietà del rifiuto.

Preziose dunque diventano le riflessioni della ricerca inglese per studiare nuove modalità organizzative perché ancora poco si conoscono le soluzioni e pratiche adottate che si possono adattare anche nelle sedi universitarie consentono di esercitare un certo grado di controllo – e dunque di flessibilità – sul proprio lavoro, sui tempi e luoghi della prestazione lavorativa o sulla frequenza delle sedi e delle lezioni accademiche o formative.

La ricerca si basa sull’analisi comparata degli impatti che le diverse tipologie di flessibilità sul lavoro hanno tra le persone con e senza disabilità. Ciascuna pratica è valutata in base agli effetti che produce in termini di soddisfazione lavorativa, equità di trattamento, riconoscimento, motivazione, impegno e in base agli esiti indesiderati dell’esperienza di lavoro, come lo stress lavoro-correlato e l’interferenza sull’equilibrio vita-lavoro. Lo studio comporta esiti su la soddisfazione o meno di strumenti di flessibilità adottati, come per esempio l’adozione del raggiungimento per obiettivi, la programmazione del part-time, la flessibilità di orario, un giusto compenso stipendiale per l’attività svolta in quelle determinate condizioni. Dunque, tale ricerca è utilissima soprattutto per la formazione dei diversity manager, fondamentali figure professionali che devono rielaborare gli strumenti organizzativi in presenza di persone che sono diversamente abili poiché lo studio e le esperienze seguite mostrano una relazione positiva con gli aspetti dell’esperienza lavorativa, dalla soddisfazione alla motivazione, per tutti i lavoratori indipendentemente dalla condizione di disabilità.

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