Meloni nel mainstream. La premier imbattibile, sempre in sintonia col mondo

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Mancano due mesi alla metà della legislatura (settembre 2022, marzo 2025), e la saldezza del governo riluce nei sondaggi: quello di Termometro politico dà Fratelli d’Italia al 29,4 per cento delle intenzioni di voto, tre punti e mezzo in più della percentuale con cui vinse le elezioni del ’22. Lega e Forza Italia non si muovono, qualcosina in meno la prima, qualcosina in più la seconda, la somma non cambia. A sinistra, il Pd ha il 23,1 per cento delle intenzioni di voto, quattro punti in più della percentuale del ’22; sono tutti voti, parrebbe, presi ai Cinque stelle, che erano al 15,4 e oggi, sempre secondo Termometro politico, sono all’11. L’Alleanza verdi-sinistra è quasi tre punti sopra: da 3,6 a 6,5. A conti fatti – tralasciando cespugli e centristi – i tre maggiori partiti delle due coalizioni crescono di tre punti e mezzo a destra e di due virgola sette a sinistra. Credo che mai, nei trent’anni della Seconda repubblica, si sia visto il partito di maggioranza relativa aumentare i consensi a metà legislatura, e la sua coalizione guadagnare più degli oppositori.

Elly Schelin, segretaria del Pd, potrà forse compiacersi d’essersi scrollata dal collo i Cinque stelle di Giuseppe Conte, e di aver messo fuori dibattito la sua primazia a sinistra, ma non potrà fare a meno di valutare le attuali possibilità di vittoria: zero, come erano zero ieri e l’altro ieri. Giorgia Meloni si candida a diventare il primo presidente del Consiglio nella Seconda repubblica a rivincere e a essere confermata dagli elettori. Mancano due anni e mezzo, che sono lunghi. Ma due e mezzo già sono passati, e la premier è più forte di prima.

Le condizioni sono così favorevoli che l’unico rischio è il cedimento alla rilassatezza, a cui Meloni resiste inventandosi nemici che non ha. Dell’opposizione si è detto. La grande imprenditoria nulla ha da ridire. Le banche assistono soddisfatte secondo le indicazioni date un anno e mezzo fa da Carlo Messina di Intesa Sanpaolo e mai più rettificate: governo forte, paese forte, avanti così. La magistratura si è ritirata in una ridotta novecentesca a difendere privilegi e riti sacerdotali, ma il verbo è appunto difendere, non attaccare. I rapporti di Meloni con l’Unione europea sono quelli con Ursula von der Leyen, buoni da subito. Il suo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è il ministro dell’Economia del ’24 secondo The Banker del Financial Times. Lo spread langue felicemente. Quanto agli Stati Uniti, si è passati dal bacio in fronte del presidente democratico Joe Biden all’entusiasmo (“una donna fantastica”) del repubblicano Donald Trump.

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Se pensiamo a tre, quattro, cinque anni fa – quando FdI era contro l’Unione europea, voleva uscire dall’euro, sfidava i mercati con toni caricaturali (“se i mercati sono contro di noi peggio per loro”), additava le banche e Bankitalia come il demonio, diffidava della Nato e subiva il fascino di Vladimir Putin – l’evoluzione è compiuta. Oggi Giorgia Meloni è la leader più pienamente mainstream del panorama italiano e forse europeo.

Il concetto di mainstream però non è statico, è mobile. Mainstream è la corrente dominante. Oggi, prima ancora di insediarsi, è già mainstream persino Donald Trump. Quando minaccia di prendersi la Groenlandia coi soldi e con le armi, l’Unione europea non risponde, al punto che la Danimarca, titolare dell’isola artica cui Trump anela per gli enormi interessi minerari e commerciali illustrati qui da Carlo Renda, dice ok, parliamone. Non siamo in vendita né terra di conquista, ma diteci che cosa vi serve. Quando, tramite Elon Musk e Starlink, si ipotizza di fornire sistemi di sicurezza satellitare all’Italia, l’Unione europea non ha un fremito: che problema c’è? Noi del resto siamo in ritardo, dicono da Bruxelles.

L’Unione europea rivede i confini del mainstream da tempo: il suo commissario alle migrazioni è Magnus Brunner, del Partito popolare austriaco, storicamente rigido sulla difesa delle frontiere, ora in procinto di allearsi con la destra estrema dell’Fpö. E manca un mese e mezzo alle elezioni in Germania dove il corrispettivo dell’Fpö, Alternative für Deutschland (AfD), è dato dai sondaggi al 22 per cento, dietro ai cristianodemocratici e davanti ai socialdemocratici: la strada dell’alleanza a destra è indicata dall’Austria.

Non ho fin qui usato l’espressione neonazisti, spesso impiegata per l’Fpö o per AfD o altri partiti della destra europea, ma mi domando che senso abbia se proprio la candidata premier di AfD, in conversazione con Musk su X, ha liquidato Adolf Hitler come un comunista. Siamo proprio ad altri livelli. Sono partiti, questi, molto lontani dalla chincaglieria nostalgica e molto immersi nei casini dei giorni nostri. Ostili agli immigrati (leggete qui l’incredibile pezzo di Pietro Salvatori sulla remigrazione), ostili alla Nato, decisamente più vicini a Putin, decisamente attratti dalla rapidità muscolare delle democrazie illiberali, di conseguenza distanti dall’Unione europea. Eccola la direzione del nuovo mainstream che guadagna metro su metro. Sarà lì, in pieno mainstream, che troveremo ancora e sempre Giorgia Meloni, abilissima, intelligente, furba, senza nessuno qui capace di farle nemmeno solletico.



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