«Saper ridere, lievito della gioia». L’autobiografia di papa Francesco

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Papa Francesco abbraccia un bambino alla fine di una sua udienza settimanale in Vaticano nel 2013 – Franco Origlia/Getty Images/Mondadori

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Pubblichiamo un estratto da Spera, l’autobiografia scritta da papa Francesco con Carlo Musso. Il volume, edito da Mondadori (pagine 400, euro 22,00), sarà in libreria da dopodomani in più di cento Paesi contemporaneamente. Si tratta di un evento storico, visto che Spera è la prima autobiografia scritta da un Papa.

È anche una bambina spiritosa, la speranza. Sa che l’umorismo, il sorriso sono lievito dell’esistenza e strumento per affrontare le difficoltà, perfino le croci, con resilienza. L’ironia, poi, in questo può calzare a pennello una sagace definizione dello scrittore Romain Gary, è una dichiarazione di dignità, «l’affermazione della superiorità dell’essere umano su quello che gli capita». […]

In famiglia, da bambino, pure queste erano materia d’educazione da parte dei nostri genitori. Per tutti noi fratelli, una pedagogia al senso della gioia, a una sana ironia, allo scherzo era considerata qualcosa di importante. […] La vita della mia famiglia ha conosciuto non poche difficoltà, sofferenze, lacrime, ma persino nei momenti più duri sperimentavamo che un sorriso, una risata, poteva strappare a viva forza l’energia per rimettersi in pista. Soprattutto papà ci ha insegnato tanto. Non si tratta di rimuovere, di far finta di nulla, di sminuire i problemi – il comico del resto non è che il tragico visto di spalle –, ma piuttosto di mantenere dentro di sé uno spazio di gioia decisivo per affrontarli e superarli. […]

È per rimarcare questo legame indissolubile, questo matrimonio fortunato tra speranza e gioia che nei mesi che hanno preceduto l’apertura della Porta Santa del nuovo Giubileo ho voluto incontrare in Vaticano un gruppo di più di cento artisti del mondo della comicità, di varie nazionalità e discipline. Qualcuno ha rilevato che si trattava di un bel salto da quando attori e giullari erano destinati a essere sepolti in terra sconsacrata, ma se uno sceglie di assumere il nome di Francesco, del “giullare di Dio”, è probabilmente il minimo che ci si possa aspettare. Poco dopo, uno di loro mi ha detto con arguzia che è bello provare a far ridere Dio… se non fosse che, per quel fatto dell’onniscienza, ti anticipa tutte le battute rovinandoti il finale. È proprio questo l’umorismo che fa bene ai cuori.

La vita ha inevitabilmente le proprie amarezze, fanno parte di ogni cammino di speranza e di conversione. Ma occorre evitare a tutti i costi di crogiolarsi nella malinconia, non permettere che essa incancrenisca il cuore. […] Sono tentazioni da cui non sono immuni neanche i consacrati. E purtroppo accade di incontrarne di amari, melanconici, più autoritari che autorevoli, più “zitelloni” che sposi della Chiesa, più funzionari che pastori, oppure più superficiali che gioiosi, e anche questo certo non va bene. Ma in generale noi preti abbiamo una buona propensione per l’umorismo e pure una certa consuetudine con barzellette e storielle, di cui siamo spesso, oltre che oggetto, buoni raccontatori.

Pure i papi. Giovanni XXIII, il cui carattere scherzoso era ben noto, durante un discorso disse più o meno: «Mi capita spesso la notte di iniziare a pensare a una serie di gravi problemi. Allora prendo la decisione coraggiosa e risoluta di andare al mattino a parlare col papa. Poi mi sveglio tutto sudato e mi ricordo che il papa sono io». Come lo capisco… E neanche Giovanni Paolo II era da meno. Nelle sedute preparatorie di un conclave, quando era ancora il cardinal Wojtyła, un cardinale più anziano e piuttosto rigido gli si avvicinò con l’intento di rimproverarlo, perché andava a sciare, scalava montagne, andava in bicicletta, nuotava… «Non penso siano attività adatte al suo ruolo», gli disse a mezza voce. Al che il futuro papa rispose: «Ma lei lo sa che in Polonia sono attività comuni per almeno il 50 per cento dei cardinali?». In Polonia all’epoca c’erano solamente due cardinali.

L’ironia è medicina, non solo per sollevare e illuminare gli altri, ma anche verso se stessi, perché l’autoironia è strumento potente per vincere la tentazione del narcisismo. I narcisisti si guardano continuamente allo specchio, si pittano, si rimirano, ma il miglior consiglio davanti a uno specchio è sempre quello di ridere di sé. Ci farà bene. Paleserà l’evidenza di quell’antico proverbio cinese che dice che ci sono solo due uomini perfetti: uno è morto e l’altro non è mai nato. […] In questo la Chiesa ha, informalmente, pure una complessa serie di categorizzazioni di battute e barzellette secondo gli ordini, le congregazioni, le figure. […] Le barzellette sui gesuiti e dei gesuiti, poi, sono un vero e proprio genere, forse paragonabile solo a quelle sui carabinieri in Italia, o alle mamme ebree nell’umorismo yiddish.

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Quanto al pericolo del narcisismo, da prevenirsi con le giuste dosi di autoironia, mi viene in mente quella su un gesuita un po’ vanitoso che ha un problema cardiaco e deve farsi ricoverare in ospedale. Prima di entrare in sala operatoria, quel gesuita chiede a Dio: «Signore, è arrivata la mia ora?». «No, vivrai almeno altri quarant’anni» gli dice Dio. Appena ristabilito ne approfitta per farsi anche il trapianto di capelli, un lifting facciale, la liposuzione, le palpebre, i denti… insomma esce da lì che è un uomo diverso. Subito fuori dall’ospedale, però, una macchina lo investe e muore. Non appena si presenta al cospetto di Dio, protesta: «Signore, ma… mi avevi detto che sarei vissuto altri quarant’anni!». E Dio: «Ops, scusa… non ti avevo riconosciuto…».

E me ne hanno raccontata anche una che mi riguarda direttamente, quella di papa Francesco in America. Fa più o meno così: appena sbarcato all’aeroporto di New York per il suo viaggio apostolico negli Stati Uniti, papa Francesco trova ad attenderlo un’enorme limousine. È un po’ imbarazzato per quello sfarzo, ma poi pensa che è da una vita che non guida, e una macchina del genere proprio mai, e insomma dice tra sé: vabbè, ma quando mi ricapita… Guarda la limousine e chiede all’autista: «Non è che me la lascerebbe provare?». E l’autista: «Guardi, sono davvero spiacente, Sua Santità, ma proprio non posso farlo, sa le procedure, il protocollo…». Ma sapete come dicono sia il papa quando si mette in testa una cosa, insomma insiste, insiste, sino a che quello cede. Papa Francesco allora si mette al volante su una di quelle enormi strade e… ci prende gusto, inizia a pigiare sull’acceleratore: 50 all’ora, 80, 120… Fino a quando non si sente una sirena e una macchina della polizia non lo affianca e lo ferma. Un giovane poliziotto si avvicina al finestrino oscurato, il papa un po’ intimidito lo abbassa e quello sbianca. «Scusi un attimo» dice, e torna alla sua auto per chiamare la centrale. «Boss… credo di avere un problema.» E il capo: «Che problema?». «Be’, ho fermato un’auto per eccesso di velocità… ma c’è sopra un tipo davvero importante.» «Quanto importante? È il sindaco?». «No, capo, più del sindaco…». «E più del sindaco chi c’è? Il governatore?». «No, di più…». «Ma sarà mica il presidente?».«Di più, penso…». «E chi mai può essere più importante del presidente?». «Guardi, capo, io non so bene chi sia, ma le dico solo che il papa gli fa da autista!».

Il Vangelo che ci ammonisce a ritornare come i bambini (Mt 18,3), per la nostra stessa salvezza, ci ricorda in questo modo anche di recuperare la loro capacità di sorridere, che, per gli psicologi che si sono presi la briga di contarla, si rivela più di dieci volte superiore a quella degli adulti.

Non c’è niente che mi rallegri oggi quanto incontrare i bambini: se da fanciullo ho avuto i miei maestri del sorriso, ora che sono vecchio spesso sono i bambini i miei mentori. Sono gli incontri che mi emozionano di più, che più mi fanno stare bene. E poi quelli con i vecchi: gli anziani che benedicono la vita, deponendo ogni risentimento, che hanno la gioia del vino che si è fatto buono negli anni, sono irresistibili. Hanno la grazia del pianto e del riso, come i bambini. Quando li prendo in braccio, nelle udienze in piazza San Pietro, il più delle volte i bambini sorridono; altri invece, vedendomi tutto vestito di bianco, credono che io sia il dottore che viene a fargli l’iniezione, e allora piangono. Sono campioni di spontaneità, di umanità, e ci ricordano che chi rinuncia alla propria umanità rinuncia a tutto, e che quando ci diventa difficile piangere seriamente o ridere appassionatamente è allora che è davvero iniziato il nostro declino. Diventiamo anestetizzati, e gli adulti anestetizzati non fanno bene né a se stessi, né alla società, né alla Chiesa.

(tratto da Spera di papa Francesco, con Carlo Musso © 2025 Mondadori Libri S.p.A., Milano)





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