L’«esercito» del non profit fa fatica a trovare tempo ed energie. Bisogna garantire la continuità: il 57% è impegnato in modo occasionale. La partecipazione? «Costruire nuovi modelli»
Si rimboccano le maniche e si mettono in moto per dare una mano a chi ha bisogno. Secondo gli ultimi dati del Censimento permanente di Istat i volontari in Italia sono più di 4,5 milioni nelle organizzazioni di Terzo settore, ma fanno sempre più fatica a trovare tempo e energie per uscire di casa, staccare dal lavoro e mettersi in gioco. I numeri parlano da tempo di un calo dei volontari, ma anche di cambiamenti nella forma di impegno: gli occasionali sono di più, i continuativi meno. Questo perché l’attrazione resta, ma impegnarsi gratuitamente costa più di ieri. «Anche il volontariato – sostiene Elisabetta Cibinel di Percorsi di secondo welfare – è figlio del nostro tempo. I dati raccontano che l’Italia invecchia, diminuiscono le persone e questo pesa anche qui. Ma anche che le donne sono molto attive, però da una certa età in poi sono più assorbite dai lavori di cura e hanno meno tempo da dedicare al volontariato. I giovani invece lo vivono in un modo diverso rispetto alle altre generazioni, soprattutto per le prospettive lavorative più precarie».
Generali Italia ha realizzato con CSVnet il Rapporto Terzo settore 2024 per capire come i volontari vivano il loro impegno: dalla ricerca emerge che il 57,5% di loro lo fa in modo occasionale o informale e questo implica «una serie di sfide- spiega Piero Fusco, responsabile Business Unit Enti Religiosi e Terzo Settore di Generali – che il Terzo settore è chiamato ad affrontare nell’immediato futuro in relazione anche e soprattutto agli elementi di novità introdotti dalla Riforma che favorisce coprogrammazione e coprogettazione con la pubblica amministrazione e alla volontà di creare collaborazioni con il profit per costruire nuove reti sociali». In generale dal rapporto «emerge una nuova concezione del volontariato sempre più liquido». A confermare questa tendenza è Maddalena Recla di Csv Trentino che racconta: «Se andassi per strada e chiedessi alle persone cosa significa per loro “volontariato” riceverei tante risposte diverse: oggi non si dovrebbe parlare più di tanto di volontariato, ma di volontariati».
È una situazione che richiede la capacità di progettare modelli di partecipazione più differenziati, inclusivi e flessibili. In questo senso proprio a Trento, Capitale Europea del Volontariato 2024, è nato «Gic – Giovani Idee per la Comunità», bando promosso da Fondazione Caritro, Provincia e Csv per promuovere il protagonismo giovanile puntando sul valore educativo del volontariato e sulla intergenerazionalità. Altro caso interessante è «Tu per Tu», progetto della Fondazione Ufficio Pio di Torino in cui un tutor volontario affianca persone migranti in conversazioni per migliorare l’italiano e sviluppare nuove relazioni: il percorso di apprendimento si gioca tutto sulla libertà delle persone coinvolte, che scelgono che cosa fare, dove incontrarsi e come trascorrere insieme una parte del proprio tempo «libero».
O, ancora, ci sono i bandi «Una mano a chi sostiene» e «People Raising 2024» di Fondazione Cattolica che aiutano le organizzazioni a trovare modi inediti per coinvolgere nuovi volontari tenendo conto delle diverse disponibilità di tempo, dell’evoluzione delle motivazioni e dei nuovi linguaggi. Azioni filantropiche come queste sono fondamentali soprattutto nelle aree interne e più periferiche con meno servizi e la tendenza allo spopolamento. «Qui – spiega Cibinel – le relazioni sociali devono essere rafforzate, per “ricucire” le persone e gli Enti del territorio. Il volontariato fa qualcosa che non può essere fatto da nessun altro, perché si basa su uno scambio gratuito che rafforza relazioni di fiducia su cui si possono creare le condizioni anche per invertire le dinamiche di sviluppo economico e sociale. Se ad esempio un’associazione garantisce il doposcuola o le attività estive nel tuo paesino significa che tu puoi lavorare mentre tua figlia li frequenta. Dove i servizi pubblici sono più rarefatti, come nelle aree interne, il volontariato ha ancora più significato».
Il caso Marche
Come nelle Marche, dove il volontariato è in prima linea per rigenerare le aree colpite dal terremoto del 2016. «Ci siamo resi conto – racconta il presidente del Csv regionale Simone Bucchi – che il volontariato ha modo di dare opportunità e speranza di vita alle persone, contrastando lo spopolamento. Il civismo qui è attivo e sostiene i servizi che mancano ancora: le persone che vivono in quei luoghi, soprattutto quelle anziane, sono disponibili a fare percorsi di partecipazione e si dedicano ad attività che fanno bene al territorio. È il caso dello sport legato al turismo, il trekking e la bicicletta, che spesso è possibile solo grazie al volontariato. Ma perché le cosi cambino davvero – conclude Bucchi – è essenziale che la pubblica amministrazione e il terzo settore dialoghino per fare assieme nuovi e ambiziosi progetti».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link