Ah, il mal d’amore non posso guarirlo

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Ja-ja-ja-ja-ja-ja-ja-ja-ja-ja-ja-ja-ja-Tu sì na’ malatìa che me dà na’ smania e te vedé- ciù-ciù-uà-ciù-ciù-uà. Peppino di Capri, bravo, simpatico e furbo, così cantava su versi e musica di Romeo-Claslow allo spirare degli anni cinquanta. E si ballava quel ritmo terzinato con beatitudini adolescenziali, nell’Italia del boom languida e ottimista. Oggi, aggiustandomi l’umore scrutinando un programma da Juke-box, mi è tornata in mente una cartolina illustrata risalente molti anni fa, più o meno la fine del secolo scorso in una strada di Roma, (presente storico) mi sento interpellare: «Professo’jo’ dica lei a mi fiija che a quello lì nun ce deve pensà più». «Mi fija» saltella su due zatteroni vertiginosi, mostra generosamente la pancia che tracima dai jeans appena appesi ai fianchi e monta occhiali da fresatore che le nascondono tutta la faccia resa mobile dalla masticazione di un chewing-gum da un etto, Presumo che, se per porre fine ai suoi pochi giorni vorrà fare un gesto inconsulto per amore, si butterà dalle vertiginose scarpe. Decido di incuriosirmi e chiedo: «Ma, signora, io che c’entro? Perché Samantha dovrebbe darmi retta?». Risposta: «Perché, pe’ quello, ne sta a fa na’ malattia». «Quello» arguisco debba essere il maschio renitente ai vezzi di «Mi fija».

Tutto torna, soprattutto le mode musicali e, dunque, mi aspettai e, oggi, gradirei una cover del successo di Peppino di Capri. Il quale Peppino di Capri si arruolò astutamente nella schiera dei musicisti, parolieri e librettisti che attingevano al repertorio delle metafore per parlar dell’amore come morbo, male, malattia di cui ci si «vuole» ammorbare, soffrire, ammalare. Appassire e appassionare. Voluttuosamente. Ricordate Maladie d’amour. Chi era? Edith Piaf? o Yves Montand? E Cuore matto, matto da legare, eccetera, come costatava Little Tony? E, per restare in ambito cardiologico, menzioniamo la domanda ansiosa, diagnostica e terapeutica di Rita Pavone Mio cuore tu stai soffrendo, cosa posso fare per te? Più tardi, con sintesi di talento, tale Timi Yuro singhiozzò Hurt in tutti i Juke Box d’Italia.

Certo, è difficile, parlando o cantando d’amore, trascurare il cuore che è una rima perfetta, oltre che convenzionale dislocazione delle pene connesse. Meno utili i polmoni, anche se vi si allude in certi luoghi ansimanti del melodramma per via di delicati eufemismi come «mal sottile» o tisi divoranti da terz’atto. Ricordate? La tisi non le accorda che poche ore era la prognosi del Basso-Dottore. Il male epatico è bandito dai parolieri e dai librettisti a causa dell’inesistenza nella lingua italiana di una possibile rima con la parola fegato. Diffusissime le malattie nervose sotto vari nomi, tutti riconducibili alle follie d’amore e di gelosia, a parte un paio di casi di sonnambulismo registrati da Bellini e Aurelio Fierro. E di un corteo affollatissimo di cantautori di talento vario che gettano il cuore oltre l’ostacolo della critica sempre arcigna.

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Congetturo che la signora che chiese il mio soccorso conosca Donizetti e segue ancora Rai Tre e ha, legittimamente ritenuto ch’io riassuma la retorica pubblicitaria di Dulcamara e del suo Elisir e la competenza del prudente e saggio medico di famiglia. Ma mi resta una riflessione istigatami dalla preoccupata mamma di Samantha, ed è che, nella mia minuscola popolarità, sento che sono considerato come una specie di taumaturgo mediatico capace di tutto, anche di convincere riottose ragazzine a guarire da passioni non ricambiate. E fin qui, ci sarebbe da compiacersi blandamente: la popolarità, anche minuscola come la mia, ha i suoi prezzi, dagli autografi alle strette di mani sudate, alle pretese di un miracolismo che si fonda, come tutti gli altri miracolismi, solo su speranze. E, nel mio caso, questa consiste nel pregiudizio che ci sia nei mezzi di comunicazione di massa un segreto potere iniziatico che non si può carpire, ma agisce misteriosamente. Più preoccupante è la convinzione, che taluni hanno, che io sia competente in fatto di medicina quanto i dottori che frequentano lo studio di Elisir per severamente, ma chiaramente, dispensare dottrina e divulgazione scientifica.

Approfitto per informare costoro che si sbagliano. Ne so molto meno di tutti, medici e molti spettatori. Ammetto che questo possa essere il miglior modo e la perfetta condizione per imparare, ma è tutto qui. E ammetto di avere una forte intenzione, e spero di esserne capace, di «fare» una buona televisione. Non sono, però. in grado di dare consigli se non quello di continuare a seguire buoni programmi, leggere buoni giornali, consultare impeccabili libri e di scacciare l’ipocondria. E godersi, con elegante discrezione, la vita. Se, poi, arriva il malessere, a proposito di consigli, ce n’è uno sfizioso che prelevo dalla discoteca delle mie nostalgie ed è di Gegè di Giacomo e Carosone: in casi difficili Pigliate na’ pastiglia, siente a me!

Sarei curioso di incontrare la madre inquieta. Ma no! Sarebbe capace di chiedermi un selfie.



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