Apple rifiuta di abolire il programma di inclusione e diversità: «Proposta inappropriata»

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La proposta di azionisti conservatori respinta dal consiglio di amministrazione, mentre Meta e Amazon chiudono i programmi DEI (Diversità, equità, inclusione)

DEI sta per «Diversity, equity, inclusion». Ovvero diversità, equità e inclusione. È la sigla con cui vengono chiamati quei programmi aziendali – o statali – che hanno lo scopo di creare una cultura e un ambiente all’interno di un’organizzazione che sia giusto e rispetti i diritti di tutti. Senza discriminazioni. Il ritorno alla Casa Bianca di Trump sembra aver scosso le fondamenta ideologiche (ed economiche) su cui si basano questi programmi. Meta ha deciso di chiudere il suo, Amazon anche. Apple va nella direzione opposta.

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Il consiglio di amministrazione della società di Cupertino si è rifiutato di accogliere il suggerimento di alcuni azionisti di chiudere i programmi DEI. La proposta arriva dal National Center for Public Policy Research, un think tank conservatore che si dichiara «indipendente, apartitico e di libero mercato». Secondo loro, mantenere attivo un programma dedicato alla diversità e all’inclusione potrebbe indebolire l’azienda e renderla vulnerabile a possibili cause legali. Il riferimento è una  sentenza della Corte Suprema americana del 2023 secondo la quale i programmi volti a evitare discriminazione nelle ammissioni ai college violano una clausola del 14esimo emendamento della Costituzione. Chiamata «Equal Protection Clause», ovvero clausola di pari protezione, è stata introdotta nel 1868 perché tutti i cittadini siano trattati nello stesso modo davanti alla legge. Secondo la sentenza, i college avrebbero favorito alcuni studenti in quanto appartenenti a minoranze. 




















































La proposta di eliminare i programmi DEI all’interno di Apple si appoggia anche sulle recenti decisioni di altre aziende, tra cui Meta e Amazon, di cancellare programmi simili. Non solo: i team dedicati alla diversità sono stati anche eliminati da Microsoft e Zoom, da John Deere e Harley Davidson. La proposta del think tank è riportata in questo documento alla pagina 85: «Con 80mila dipendenti, è probabile che Apple ne abbia più di 50mila potenzialmente vittime di questo tipo di discriminazione – scrivono gli azionisti, riferendosi a coloro che potrebbero rivolgersi a un tribunale per non aver giovato di favori in quanto non appartenenti a minoranze – Se anche solo una frazione dei dipendenti dovesse intentare una causa, e se solo alcuni di questi dovessero avere successo, il costo per Apple potrebbe raggiungere le decine di miliardi di dollari». A pagina 87 la risposta del consiglio di amministrazione, che raccomanda un voto contrario al meeting annuale degli azionisti, che si tiene il 25 febbraio: «La proposta non è necessaria in quanto Apple dispone già di un programma di conformità ben consolidato e tenta inopportunamente di limitare la capacità di Apple di gestire le proprie operazioni commerciali ordinarie, le persone, i team e le strategie aziendali». Si aggiunge che l’azienda ha l’obiettivo di «creare una cultura di appartenenza in cui tutti possano dare il meglio di sé». 

Parole che fino a qualche mese fa sarebbero state considerate coerenti con qualunque strategia aziendale, oggi sembrano una dichiarazione di intenti progressista. La vittoria di Trump ha scosso profondamente la Silicon Valley, con cambiamenti che seguono i mutamenti all’interno di una Paese che ha scelto il repubblicano (e le sue idee) come prossimo presidente. Gli elettori, d’altronde, sono anche consumatori. E se è stato scelto per la Casa Bianca un inquilino che si oppone nettamente ai programmi per la diversità e inclusione, questi sono diventati improvvisamente obsoleti. Lo sono a Meta, dove Zuckerberg continua la sua metamorfosi e interrompe ogni sforzo per la tutela delle minoranze. E non solo: attacca Biden per averlo obbligato a «censurare» alcuni contenuti, in particolare durante gli anni della pandemia. Ma sono storia passata anche ad Amazon, dove è stata inviata una nota a tutti i dipendenti che dichiara proprio l’intenzione di «eliminare i programmi e i materiali obsoleti» dedicati all’inclusione entro la fine dell’anno. Anche qui si temono cause legali di gruppi conservatori che possono sfruttare la decisione della Corte Suprema del 2023.

12 gennaio 2025 ( modifica il 12 gennaio 2025 | 17:13)

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