E se quel senso di spaesamento fosse colpa del rapporto consumistico che abbiamo col mondo?

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Idealizziamo alcune località perché proviamo un senso di spaesamento nel luogo dove abitiamo? Bella domandona mi sto ponendo. Ho atteso il tempo giusto per buttare alcune riflessioni che mi porto dietro dalla scrittura dell’ultimo libro, In cammino per un nuovo umanesimo. L’attesa è quella che mi sono presa dopo il racconto coraggioso del disagio psichico che lo scrittore Paolo Cognetti ha deciso di rendere pubblico.

Parto da alcune sue considerazioni senza entrare nello specifico della vicenda personale perché ritengo che meriti solo assoluto rispetto. In alcuni passaggi di interviste o valutazioni uscite sui quotidiani o le riviste online emerge, tra le altre cose, il tema della mitizzazione o meno della montagna come luogo di rigenerazione dello spirito e della mente; sto semplificando perché mi interessa solo trovare il gancio alle mie riflessioni. Una domanda è d’obbligo: ha senso mitizzare un luogo, anche fosse quasi paradisiaco? Mi permetto un ragionamento che è anche una provocazione per stimolare un dibattito pubblico che va a intrecciarsi con problematiche legate al senso dell’abitare. 

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Lo scrittore Paolo Cognetti

Abbiamo una tendenza a mitizzare i luoghi della nostra vacanza ideale o quelli che pensiamo ci possono rigenerare nel corpo e nello spirito. Sono convinto, per esperienza personale, che alcuni luoghi trasmettono un’energia diversa e più intensa di altri. Nella maggior parte dei casi influisce una particolare sensibilità soggettiva ma non manca una indubbia oggettività quando penso a paesaggi di altissimo pregio naturalistico o storico culturale. 

Quindi c’è sicuramente una gerarchia dei luoghi dovuta a canoni di bellezza, intesa in senso lato, condivisi all’interno di un determinato contesto culturale. Detto questo, credo che la contemporaneità sia caratterizzata da un’esaltazione delle gerarchie, basta vedere il fenomeno dell’overtourism, ovvero quell’eccessiva turisticizzazione dei luoghi che impatta fortemente sulle mete più note e gettonate. 

Anche quando pratichiamo le forme del cosiddetto “turismo lento” seguiamo, spesso inconsapevolmente, l’idealizzazione della meta o dei luoghi più significativi trascurando quelli “minori” attraversati distrattamente. Se penso all’immagine dello “spaesamento” spesso rappresentata dall’antropologo Vito Teti riguardo agli abitanti di un luogo – dal più piccolo agglomerato delle aree interne al centro cittadino – mi viene quasi spontaneo collegare l’eccessiva idealizzazione di un luogo alla perdita del senso di appartenenza allo spazio del nostro abitare quotidiano. 


Più viviamo da quasi estranei il rapporto con il mondo che ci ospita in quanto residenti stanziali, più abbiamo bisogno di immaginare altri luoghi dove andarci a rigenerare esplorando nuove ricerche di senso. Non sto svelando nessuna verità assoluta ma, come mi capita sempre più spesso, cerco di scavare in profondità le questioni che mi stanno a cuore per condividere le riflessioni che ne scaturiscono. 

Il paesaggio che ci ospita in quanto abitanti, anche temporanei, custodisce uno spessore di senso che non può essere scoperto e apprezzato con uno sguardo superficiale. La profondità di tale sguardo purtroppo non dipende dal tempo in cui ci troviamo a vivere o transitare in quel determinato spazio, ma dalla qualità del rapporto. Più entriamo in un contatto intimo con il paesaggio umano, naturale e storico- culturale che ci circonda, più opportunità abbiamo di entrare in sintonia con la complessità del mondo

A volte penso alla ricchezza e alla pienezza di senso dei paesaggi raffrontandoli con un film d’autore. Il cinema di qualità è un linguaggio complesso e stratificato, al punto da richiedere una visione che va ripetuta varie volte se vogliamo cogliere la complessità del messaggio. Nel rapporto con i paesaggi dell’abitare spesso la necessità di approfondire la conoscenza diretta del complesso mosaico che dà un senso ai luoghi viene sopraffatta da una certa superficialità da cui il famoso “spaesamento” di cui sopra. 

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La ricerca di senso o il bisogno di rigenerazione non appartengono al territorio in cui risediamo ma a un altrove idealizzato nel quale il rapporto – di nuovo – non è vincolato a nessuna particolare immersione nella comunità e nel territorio stesso. Quando parlo di immersione e ricerca di senso vado oltre la pura ricerca della bellezza perché come ci dice il filosofo Byung Chul Han, il mondo è poroso e non levigato.

Un paesaggio per essere apprezzato e amato ha bisogno di essere conosciuto nelle sue sfaccettature senza essere edulcorato. Di questa immersione spesso abbiamo paura perché la tendenza è quella di scappare dalle contraddizioni per ricercare una bellezza pura come fuga da modelli di vita alienanti o comunque segnati da una certa apatia – o, appunto, da quel già citato senso di spaesamento. 

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La riflessione che pongo al dibattitto pubblico sul senso dell’abitare è quella di come provare a ricostruire una cultura capace di aiutare le persone a riconnettersi con il luoghi dell’abitare. Senza rendercene conto il nostro rapporto consumistico e “rumoroso” con il territorio, nessuna distinzione c’è tra città e campagna, stordisce e nasconde le espressioni di senso siano essere positive o negative. 

Ha senso mitizzare un luogo, anche fosse quasi paradisiaco?

Se riuscissimo a ridare senso alla nostra presenza nel mondo senza un continuo “esodo ideale” reale o mentale verso altri lidi leggeri, potremmo forse trovare armonia e pace in ogni luogo. Non si tratta di rinunciare al sacrosanto bisogno della vacanza come evasione, ricreazione e rigenerazione. Non sto parlando a favore della stanzialità rispetto all’eterno e affascinate vagabondare nel mondo che appartiene alla storia dell’umanità. 

Si tratta di cercare un nuovo equilibrio di corpo, mente e spirito nello spazio e nel tempo superando lo spaesamento della contemporaneità e per fare questo dovremmo raffreddare il rapporto consumistico e allo stesso tempo superficiale con il mondo. In questo senso il più sperduto angolo delle Alpi con il cuore pulsante di una grande città non fanno nessuna differenza. Ci tornerò con altre miti provocazioni. 



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