FINANZA & GREEN/ Il passo indietro di BlackRock che l’Ue dovrebbe imitare di corsa

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Gli investitori non sono più tanto convinti di combattere la battaglia green. Il segnale viene da BlackRock, una delle più grandi società nel campo degli investimenti, che ha deciso di uscire dalla Net Zero Asset Managers Initiative, che riunisce chi agisce sui mercati contro gli effetti della crisi climatica. Non è il primo operatore a fare questa scelta, osserva Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, e non lo fa solo perché, con l’avvento di Trump, la politica americana sembra meno interessata a sostenere la rivoluzione green. A livello mondiale, infatti, con buona pace della Commissione Europea, è cresciuta la consapevolezza che la sostenibilità ambientale deve andare di pari passo con quella economica e che, per questo, non si può pigiare troppo sull’acceleratore quanto alla transizione ecologica. Dinamiche sulle quali incombe anche un altro elemento, vero segno dei tempi: le big tech contano quasi più degli Stati. Anche la presenza di Musk vicino a Trump nella nuova amministrazione USA lo conferma.



Professore, BlackRock lascia l’organizzazione che riunisce gli investitori che puntano a ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici. E non è l’unico operatore a fare questa scelta. L’effetto Trump, non disposto ad assecondare le battaglie green, si fa sentire?

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L’effetto Trump è scontato, nel senso che ciascuno adesso bacia la pantofola. Al di là dell’uscita di BlackRock da Net Zero Banking Alliance, tutti i fondatori delle big tech stanno finanziando la cerimonia di insediamento, con una serie di operazioni di costruzione del consenso e di allineamento rispetto al nuovo presidente. Ma non è solo questo.



Cosa c’è d’altro da considerare?

C’è una sorta di coscienza collettiva che sta via via montando a livello mondiale, fondata sulla percezione che la sostenibilità ambientale deve essere anche sostenibilità economica. Un atteggiamento che è frutto anche di quello che sta succedendo nel settore automotive e nelle tecnologie pulite, e che nasce dalla constatazione che, in nome della sostenibilità ambientale, si è pigiato troppo sull’acceleratore, uscendo di strada dal punto di vista economico.

Per investitori come BlackRock e altri, che puntano a fare soldi, un problema non da poco. È anche per questo che molti stanno cambiando strada?



C’è anche un altro elemento, parzialmente connesso con questo: hanno capito che, in realtà, c’era molto greenwashing, che si fa fatica a distinguere tra le aziende che percorrono effettivamente la strada degli investimenti green e altre che fanno solo maquillage.

Tutto questo che effetti può avere sull’Europa? L’ultima Commissione UE ha puntato molto sul Green Deal, dovrà ripensarci anche alla luce di questo nuovo contesto?

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L’Europa è un soggetto che quasi non esiste, non tocca palla su nessun fronte. Ha investito molto sul tema ambientale, ma dovrà tornare indietro. E dovrà farlo velocemente: molti degli obiettivi dichiarati sono stati definiti all’atto dell’insediamento della prima Commissione von der Leyen, con un Green Deal che pagava la cambiale del sostegno dei verdi, ma che era palesemente eccessivo. La UE deve fare come BlackRock: ripensarci. E non per compiacere Trump, che tra l’altro non la tiene in nessuna considerazione.

Ma la sostenibilità ambientale rimane un obiettivo?

Ho costruito la mia carriera accademica sui temi della sostenibilità ambientale, a partire da 30 anni fa. Però ho sempre sostenuto che, pur essendo fondamentale, deve essere accoppiata alla sostenibilità economica. Temo che il 2025 per l’Europa sarà un anno drammatico. Magari nella difficoltà del momento la UE troverà l’energia per cambiare finalmente registro, perché così non si può andare avanti.

Ma Trump in tutto questo è decisivo o no?

Non possiamo parlare solo di Trump. Il tema è il suo rapporto con Musk e l’ecosistema delle big tech. Credo che Musk sia più potente di Trump e che quest’ultimo avrebbe già voluto mandarlo a quel paese, perché occupa più spazio di lui. Ma fa fatica a farlo.

Il vero presidente è Musk?

Dal mio punto di vista è più forte lui, anche perché sono le sue aziende che vanno nello spazio, non la NASA. Trump, comunque, è veramente un soggetto di rottura, da molteplici punti di vista. Sconvolge qualsiasi regola, basta sentire le sue dichiarazioni. Credo che sia un fenomeno che segnerà una vera discontinuità nella storia geopolitica recente: la sua forza dirompente, la minaccia di squilibrio che genera, potrebbe, in realtà, produrre per reazione quegli aggiustamenti (ad esempio in Europa) che altrimenti non si sarebbero potuti mai verificare. Una speranza che potrebbe diventare realtà.

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Siamo anche in un momento in cui le big tech, le imprese private, contano più degli Stati. Musk ne è l’emblema. Come gestirà la situazione Trump?

Credo che tra i due ci siano già degli screzi. Non possono stare entrambi nella stessa stanza. Musk sta dicendo cose che non fanno piacere a Trump, penso, ad esempio, alle sue dichiarazioni sull’immigrazione positiva. Tra poco dirà che la Cina è un bene, perché lì ha interessi colossali.

Già, perché allora restano ancora insieme?

Consideriamo Musk, Zuckerberg e Bezos. Il primo ha in mano lo spazio, perché le tecnologie europee domani mattina vengono bucate dal primo hacker russo o cinese che lo vuole fare, mentre la tecnologia di Musk non è schermabile e non ce l’ha neanche la NASA. Dal punto di vista della sicurezza, anche la guerra in Ucraina ha detto chiaramente che la tecnologia di Musk è unica al mondo e non c’è alternativa. Zuckerberg, invece, ha in mano gli strumenti di informazione. Ormai i pensieri delle persone si formano su TikTok, Facebook, Instagram. Bezos, infine, è un pezzo significativo del commercio del mondo, quantomeno occidentale.

Quindi il vero tema oggi è il rapporto tra le big tech e gli Stati?

Siamo in una faglia della storia in cui c’è un ecosistema tecnologico che diventa molto rilevante. Il nostro discorso è partito dicendo che anche BlackRock si conforma a Trump, ma il vero tema del 2025 è che entriamo in una fase della storia in cui la geopolitica si fa tecnologia e si fa economia. Non è più vero che la politica disciplina le sorti del mondo. Non sto dicendo che non abbia più forza, ma la NASA, senza SpaceX, i satelliti nello spazio non riesce più a mandarli.

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Da una parte le aziende si adeguano a Trump, ma dall’altra è Trump che quasi deve prendere atto che effettivamente il potere politico è trasferito, almeno in parte, al potere economico?

Sì, non è che in passato fosse molto diverso. Ma questa tendenza è più accentuata. Il potere delle big tech diventa tale perché, sfruttando fenomeni di scala e le tecnologie di rete, hanno un impatto pervasivo su miliardi di persone. E questo è un fenomeno che non si è mai verificato.

Quindi il prossimo anno potrebbe portare a grandi sconvolgimenti?

Avremo trasformazioni molto profonde e credo che cambieranno completamente i protocolli di interazione, si scardineranno le logiche diplomatiche. Trump andrà da Putin, così come la Meloni, scavalcando tutti, chiama Musk e va da Trump. Ne vedremo delle belle.

(Paolo Rossetti)

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