Recensione a G. Giostra, Prima lezione sulla giustizia penale, Universale Laterza, 2025
Dopo le ripetute ristampe della prima edizione del 2020 viene pubblicata nel gennaio 2025 l’attesa nuova edizione della “Prima lezione sulla giustizia penale’ di Glauco Giostra, professore emerito di Procedura penale della Facolta’ di Giurisprudenza dell’Universita’ di Roma La Sapienza, ancora nella prestigiosa collana Universale Laterza, intitolata appunto “Prima lezione”.
Provo a indicare quelle che – almeno a me – sembrano essere le ragioni dell’indiscutibile successo del “fortunato libriccino” (cosi’ A. Manzoni a proposito di “Dei delitti e delle pene” di C. Beccaria).
Il lettore resta innanzitutto affascinato dall’apparire, fin dalle prime pagine, della figura dello “stretto ponte tibetano”, che l’Autore ha scelto per rappresentare simbolicamente – per incarnare – l’umana imperfezione dell’impresa di “fare” il processo penale. E tuttavia, nello stesso tempo, per ribadirne con forza la irriducibile irrinunciabilita’, sempre che essa venga innervata di valori, metodi e tecniche eticamente e socialmente accettati, perche’ rispettosi della dignita’, dei diritti e delle liberta’ fondamentali della persona umana.
Poichè la giustizia penale ha una indubbia dimensione relazionale, l’Autore esprime la convinzione che il ruolo, la funzione e le ragioni del suo concreto agire debbano essere narrati e resi comprensibili anche all’esterno del ristretto circuito istituzionale e professionale, nella considerazione che, solo implementando il senso di giustizia nell’animo dei cittadini, se ne rafforza la consapevole e responsabile fiducia nello Stato di diritto e nella democrazia. E nell’intento di portare a compimento tale operazione culturale, obiettivamente non facile, utilizza un linguaggio che, per le sue caratteristiche, sembra ispirarsi alle prescrizioni del modello delineato da I. Calvino nelle Lezioni americane (Einaudi, 1993). Il lettore (anche con l’ausilio di un apposito Glossario – “da usare a mo’ di pronto soccorso terminologico” -) è messo così in grado di apprezzare la leggerezza del tessuto verbale degli argomenti, contro il ridondante specialismo dell’antilingua, la sobria e agile essenzialità dei concetti di volta in volta messi a fuoco, la precisione e l’ordine quasi geometrico del complessivo disegno dell’opera. Risaltano, di conseguenza, l’efficacia evocativa delle parole e il peso informativo dei contenuti nel merito delle questioni e dei temi trattati.
Si dispiegano con esemplare chiarezza agli occhi del lettore le progressive dinamiche della legalità del procedere, attraverso la puntuale analisi sia degli “elementi nucleari” (lo statuto del giudice indipendente da ogni altro potere, terzo e imparziale, soggetto solo alla legge e di essa interprete, che tuttavia non “esondi dagli argini dell’alveo semantico tracciato dalla legge”; la parità delle parti; il contraddittorio nella formazione della prova; la ragionevole durata [con gli effetti sulla prescrizione del reato]), sia delle “strutture portanti”, gli snodi cruciali del procedimento, dalle indagini preliminari al dibattimento e alle impugnazioni, anche straordinarie, ove appaia necessario, contro “il giudicato ingiusto”.
Si avverte un diffuso apprezzamento dell’Autore per la coerenza di talune scelte strategiche della riforma Cartabia del sistema processuale penale (in particolare per la forte tensione ideale sottesa all’istituto della giustizia riparativa). Viceversa, si esprimono esplicite perplessità per taluni profili della più recente e disorganica tecnica legistica di tipo randomico o di “incidenza assai limitata nella realtà’” (come in materia di libertà personale dell’imputato – per il contraddittorio preventivo o per la collegialita’ della deliberazione –, di limiti all’appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento, di definizione del concetto di interesse pubblico in funzione del diritto di cronaca e, per converso, del divieto di pubblicazione degli atti a tutela della segretezza e della riservatezza).
Significative appaiono, inoltre, le riflessioni sulle moderne distorsioni nel rapporto fra la categoria del tempo, oggi dominata dalle tensioni della quotidianità e della immediatezza, e le tradizionali cadenze della giurisdizione penale troppo spesso segnate da irragionevole durata. Qui, ad avviso dell’Autore, si annida la genesi della giustizia mediatica e del populismo penale, con la degradazione della fase del giudizio e con gli effetti perversi della presunzione di colpevolezza e della gogna inflitta all’indagato fin dalle investigazioni preliminari. Urge proteggere, dunque, la narrazione del processo penale dallo “specchio deformante dei media”, apprestando rimedi innanzitutto di tipo culturale, professionale e deontologico con riguardo a tutti i protagonisti della informazione e della comunicazione degli atti del processo.
Nell’intreccio fra i principi costituzionali e convenzionali e le regole epistemologiche del “giusto processo” vengono illustrati i “percorsi di verità”, funzionali all’accertamento (che si sottolinea essere pur sempre di tipo probabilistico) dei fatti e delle circostanze, sulla base delle prove utilizzabili e legalmente acquisite secondo il metodo del contraddittorio nella loro formazione. Il tratto di strada che dal “giusto processo” conduce alla “giusta [non alla “esatta”] decisione” e’ segnato dall’etica del limite e, in ultima istanza, dal criterio del “ragionevole dubbio”, che, se idoneo a indebolire seriamente o mettere comunque in forse la fondatezza dell’ipotesi prospettata dall’accusa, vede doverosamente prevalere la presunzione d’innocenza dell’imputato: nella consapevolezza che le garanzie del fair trial costituiscono l’effettiva cartina di tornasole della rispondenza di un determinato sistema di giustizia penale alla rule of law e ai principi di una democrazia liberale.
Nello scorrere le pagine del libro s’intravedono le radici della passione civile e dell’impronta liberale e democratica del Giurista, il quale, pure nella lettura critica di taluni aspetti e meccanismi del vigente sistema processuale, mostra di confidare nella robustezza di quelle “funi” che l’ordinamento costituzionale e convenzionale appresta per assicurare, con prudenza e sapienza, l’instabile equilibrio del fragile, ma irrinunciabile, “ponte tibetano”. E, nel forte richiamo dell’imperativo morale per il quale, nell’intreccio fra fatto, prova, verità e dubbio nel crogiuolo dell’esperienza processuale, l’attenzione alla dignità, ai diritti e alle libertà fondamentali della persona umana dovrebbe sempre guidare il disciplinamento delle regole e l’agire della giustizia penale, infine si avverte il largo respiro di una illuminata visione d’assieme dei valori etici e politici che tengono in connessione l’esercizio della giurisdizione penale, lo Stato di diritto e la democrazia.
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