L’IA farà bene alla salute, purché diventi un “progetto umano”

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Nel 2024 le persone su Google si sono chieste a milioni che cosa fosse l’Intelligenza Artificiale e quale fosse la sua reale utilità, svelando frammenti di curiosità un po’ fuorvianti, che non andavano dritti al punto e quindi non coglievano in pieno la mastodontica portata di questa tecnologia. Sopravvalutata la magia di Chat GPT, con la sua possibilità di scrivere qualunque testo, creare video realistici ma fake, campionare la propria voce per pronunciare frasi da Nobel o per mettere in rima un motivetto trap. Sottovalutata invece la capacità di indagare nei dati di tutti gli ambiti della vita «onlife» come l’ha definita Luciano Floridi, professore e direttore del Digital Ethics Center della Yale University e professore ordinario nel Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università di Bologna.

 È onlife anche il nostro rapporto con la salute e la sanità, dove l’interlocutore tecnologico sta facendo passi da gigante, allarmando un po’ tutte le figure coinvolte, i cui timori non riguardano soltanto la sostituzione dell’homo sapiens con la macchina, ma anche e soprattutto l’impatto etico di una capacità di calcolo tale da fare previsioni su di noi e sul nostro stato di salute. 

È stato proprio Luciano Floridi, a radunare per la prima volta poche settimane fa quaranta esperti di etica e sanità provenienti da Università e centri di ricerca da tutto il mondo alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, sull’Isola di San Giorgio Maggiore. 

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L’obiettivo, discutere delle sfide e delle opportunità proposte dall’IA per la salute globale. Con “Global Health in the Age of AI. Charting a Course for Ethical Implementation and Societal Benefit”, Floridi ha messo in piedi più di un semplice simposio, qualcosa che somiglia a un’Assemblea costituente dei rapporti con l’IA nell’ambito sanitario. 

Si è trattato infatti di tracciare le linee guida per poter usare questo strumento in modo più consapevole ed etico, capace di inseguire inequivocabili vantaggi per il diritto alla salute su scala globale, evitando però i rischi correlati. Ne è scaturito un documento che sarà pubblicato in questi giorni sulla rivista scientifica Minds and Machines, ma soprattutto si parlerà di un consensus paper che dovrà finire nelle mani dei decisori politici italiani ed europei.

Linkiesta era presente a questo appuntamento di valore storico, che non a caso si è svolto in una delle sedi più prestigiose del mondo, la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, creata apposta nel 1951 per ospitare i grandi temi della contemporaneità. «Le discussioni su arte, scienza e tecnologia si incontrano qui da settant’anni», dice il presidente della Fondazione, Gianfelice Rocca, mentre Luciano Floridi in un dialogo con il nostro giornale racconta quali sono state le parole chiave dell’evento, ovvero «Trust, social determinants e global harmonization». Un impianto che vuole anticipare e dare soluzioni pratiche ai futuri problemi di fiducia nella scienza, dei fattori sociali indipendenti da tematiche mediche, dell’allineamento dei sistemi regolatori: «Non si tratta più soltanto di mettere a fuoco delle tecnologie e analizzare dati, nel rapporto tra IA e sanità c’è in ballo la salute di miliardi di persone e l’impatto è destinato a coinvolgere proprio questa moltitudine».

I dati in effetti sono stati utili a dimostrare come l’IA possa essere utilizzata per rendere più efficace ed efficiente l’intero ventaglio di interventi. Gli algoritmi predittivi sono già in grado di fornire la probabilità dell’insorgenza di una malattia, modulare nuovi e mirati trattamenti farmacologici sulla storia clinica delle persone, ottimizzare la scrittura delle lettere di dimissione, fornire in modo quasi istantaneo le sintesi delle ricerche mediche. Per non parlare del supporto clinico, grazie all’intreccio di parametri davvero innumerevoli. Una azione medica ad personam che influisce positivamente su diagnosi e decisioni terapeutiche e diventa provvidenziale per la prevenzione. In teoria una svolta rivoluzionaria che migliora l’esperienza di cura e riduce i costi pro capite dell’assistenza sanitaria.

Su questo tema, quello dei costi, sembrano ormai tutti d’accordo, oltre ogni barriera ideologica del passato. E si comprende quando Floridi spiega che lo «sforzo economico per organizzare le giornate veneziane è stato notevole», a testimonianza dell’interesse a non commettere errori anche etici da parte dei grandi player della farmaceutica e dell’assistenza privata ma anche dagli stessi studiosi delle biotecnologie e delle tech company che realizzano l’innovazione.

Eppure il 2024 è stato l’anno della polarizzazione nel panorama geopolitico ma anche in tutte le discussioni che passano da media e social media. Abbiamo varcato il 2025 con una netta divisione, da una parte quelli che hanno paura dell’Intelligenza Artificiale e dall’altro tutti quelli che sono dell’IA sono (anche esageratamente) entusiasti. «Da questa polarizzazione non si esce facilmente», dice a Linkiesta Floridi «perché mancano le connessioni tra le parti in causa anche se tutti lavorano sodo per lo stesso obiettivo, come sempre in tutti questi cicli di espansione-bolla-esplosione, sistole e diastole del sistema, c’è un’industria che deve vendere il prodotto e ha tutto l’interesse a enfatizzare, ampliare, moltiplicare il messaggio positivo. Accade sempre nelle grandi innovazioni, è accaduto con Internet ma anche con l’elettricità». Ed entrano così in campo gli agenti mediatici: «C’è un’industria della comunicazione che ha bisogno di notizie, e le notizie o sono catastrofiche o sono esageratamente entusiasmanti. In un caso si parla di fine del mondo, nell’altro di miracoli, in un fluire di messaggi che hanno in realtà un’impronta commerciale. Non è il caso di cercare un colpevole, viviamo in un sistema comunicativo che si basa sull’estremizzazione e sui toni enfatici. Abbiamo creato il perfetto circolo in cui le notizie hanno soltanto i due estremi, il catastrofismo apocalittico e poi l’entusiasmo californiano, quel mindset che risolverà tutto. Queste oscillazioni del pendolo per chi fa il nostro lavoro sono veri inconvenienti. Perché sappiamo che la verità non è nemmeno a metà della traiettoria del pendolo, ma si trova proprio in un contesto diverso e alternativo». 

Ce la possiamo cavare con un messaggio che afferma che i problemi non saranno poi così seri oppure, al contrario, che bisogna moderare l’entusiasmo? Floridi risponde secco: «No, perché sono proprio le premesse del discorso di partenza che mandano fuoristrada e ci trovano incapaci di guardare in modo serio allo sviluppo di queste tecnologie da un punto di vista che non è affatto quello della domanda e dell’offerta industriale, e nemmeno quello consolidato della comunicazione del prodotto. L’ottica che dovremmo seguire è quella del “progetto umano”». Che è una definizione enorme, alla quale però Floridi è affezionato, probabilmente perché ci trova aspetti più concreti rispetto a una visione faustiana o religiosa: «Il senso della parola progetto apre alla domanda su che cosa ci vogliamo fare davvero con questa tecnologia». 

Ed è così che l’aula della Fondazione Cini piena di cervelli di tutto il mondo e di tutte le età appare come il Think Tank al lavoro per il superamento di un modello umano. I cervelli servono in quanto serve la loro esperienza: «Mano a mano che le questioni si fanno interessanti diventano elementi chiave le competenze tecniche, e i partecipanti sono persone che vivono in presa diretta lo sviluppo della tecnologia, la creano, la applicano, negli ospedali nei punti di ricerca, conoscono bene quello di cui stanno parlando. E se c’è un’idea su come mettere a terra il progetto sono loro che possono definirne impatti e rischi.  Di certo possiamo dire che sarebbe essenziale per il lavoro che stiamo facendo diffondere informazioni corrette sui diversi contesti nei quali questa tecnologia farà la differenza». 

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Una raccomandazione che sembra più uno stimolo alle nuove leve della ricerca: «La personalizzazione della medicina ha bisogno di una rivoluzione del metodo se vogliamo raggiungere davvero il risultato. E se solitamente si parte raccogliendo dati sensibili sulla salute del singolo per poi aggregarli, ora sarà necessario fare il contrario, ovvero partire dal macro e arrivare al micro alla persona. Sarà la potenza del calcolo dell’IA ad aiutarci, riuscendo a usare molti parametri attraverso i quali arrivare al caso clinico. Su una popolazione di cardiopatici di 60 anni, per esempio, potremo studiare quanti tra loro svolgono una certa professione, lavorano in un certo stabilimento, hanno storie cliniche simili e malattie ereditarie contigue e tantissimi altri dettagli che potrebbero sembrare piccoli e invece sono dirimenti». Più lontani di così dalle oscillazioni del pendolo non potremmo essere.



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