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In tutto il mondo sono oltre 2 miliardi e 200 milioni le persone con una disabilità visiva o cecità. Di queste, oltre un miliardo presentano condizioni che si possono trattare, ma non ha accesso alle cure necessarie per farlo.
Per promuovere i diritti umani delle persone con disabilità visiva e sottolineare l’importanza del noto metodo di letto-scrittura Braille, l’Assemblea Generale dell’ONU ha proclamato il 4 gennaio quale Giornata Mondiale del Braille.
La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità considera il Braille essenziale per l’istruzione, la libertà di espressione, l’accesso alle informazioni e l’inclusione sociale. Dal canto suo, l’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ha ribadito l’impegno a non lasciare nessuno indietro. La pandemia da COVID ha dimostrato poi, recentemente, quanto le informazioni in formati accessibili come il Braille siano fondamentali per garantire la salute pubblica e l’inclusione digitale.
L’UNRIC, il Centro di Informazione Regionale per l’Europa Occidentale delle Nazioni Unite, ha proposto nei giorni scorsi un’intervista a Lars Bosselmann, direttore esecutivo dell’EBU, l’Unione Europea dei Ciechi, sul ruolo della tecnologia nel migliorare l’accessibilità e agli sforzi per garantire i diritti delle persone con disabilità visive. Proponiamo di seguito la traduzione e il riadattamento in italiano di quella stessa intervista.

Qual è il numero stimato di persone cieche o ipovedenti in Europa?
«Si stima che oltre 30 milioni di persone siano cieche o ipovedenti in Europa, includendo anche Paesi al di fuori dell’Unione Europea. Per altro, le definizioni di cecità e ipovisione possono variano tra i diversi Paesi, il che può influenzare le stime stesse».

Quali sono, secondo lei, i maggiori ostacoli per le persone con disabilità visive nella nostra società?
«Oltre alle barriere fisiche, una delle sfide più significative è l’accessibilità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Quando la tecnologia non è inclusiva, può limitare le opportunità per le persone con disabilità visiva anziché abilitarle. Altri ostacoli chiave includono l’accesso limitato all’istruzione, alla sanità e all’occupazione, evidenziando la necessità di pratiche più inclusive».

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Cosa vorrebbe che fosse diverso nella percezione della società verso le persone cieche e ipovedenti?
«A mio avviso la società spesso vede la cecità o l’ipovisione come “una delle peggiori cose” che possano capitare a una persona, il che crea una percezione negativa e limitante. Questo deriva da una mancanza di comprensione su ciò che le persone cieche o ipovedenti possono realizzare. Si tratta di proiettare le proprie paure riguardo alla perdita della vista, non comprendendo le esperienze reali e le possibilità di conviverci. È necessario pertanto un cambiamento di focus sulle abilità».

Ma cosa significa creare realmente una società inclusiva per le persone con disabilità visiva?
«Il primo passo per creare una società inclusiva è un cambiamento di atteggiamento, vedendo prima la persona e non la disabilità. Questo è fondamentale e fornisce la base su cui deve essere fondata l’inclusione. L’inclusività richiede anche passaggi pratici, come rendere accessibili gli ambienti fisici, quali i trasporti pubblici e gli edifici, e dare priorità all’accessibilità digitale nella progettazione della tecnologia. Infine, bisogna insegnare l’inclusione fin dall’infanzia e iniziare questo lavoro nelle scuole e nelle comunità aiuta a normalizzare l’inclusività sin da giovani».

Quali sono gli errori comuni che commettiamo mentre creiamo contenuti per persone con disabilità visiva? Se potesse dare tre consigli importanti sulla comunicazione inclusiva, quali sarebbero?
«L’errore più comune è non considerare l’accessibilità fin dall’inizio. Non si pensa che le persone con disabilità visiva possano dipendere dalle descrizioni per accedere a qualsiasi contenuto visivo. Immagini, video e infografiche sono spesso inaccessibili perché mancano di testo alternativo o di descrizioni audio. Le immagini o le infografiche diventano senza significato senza descrizioni per un utente cieco.
Se potessi dare tre consigli per una comunicazione più inclusiva, sarebbero: utilizzare il testo alternativo per tutte le immagini, facendo sì che i lettori di schermo potessero descriverle; aggiungere sottotitoli e descrizioni audio ai video per renderli più accessibili; riassumere i messaggi chiave di qualsiasi contenuto visivo, ad esempio delle infografiche».

Ci sono delle idee sbagliate che le persone vedenti potrebbero avere riguardo al Braille?
«Il Braille è un’invenzione rivoluzionaria, che ha aperto una nuova strada all’informazione e all’educazione per milioni di persone con disabilità visiva. Celebriamo i 200 anni di questa invenzione parlando di alcuni stereotipi. Un’idea sbagliata e comune è che il Braille sia diventato obsoleto con la diffusione dei contenuti audio quali podcast e audiolibri. In realtà il Braille è uno strumento su cui molte persone con disabilità visiva fanno affidamento. Oggi, infatti, esso è integrato con i dispositivi digitali, inclusi smartphone e computer, attraverso display Braille che trascrivono il contenuto dello schermo in Braille tattile.
Un altro falso mito è che il Braille sia difficile da imparare. In realtà, imparare il Braille in giovane età è naturale e facile come imparare a leggere e scrivere in qualsiasi altra lingua. Tuttavia, può essere più difficile da apprendere in età avanzata, proprio come qualsiasi nuova abilità.
Infine, sebbene il Braille non sia una lingua di per sé, esso permette alle persone con disabilità visiva di accedere alle informazioni in modo più naturale, simile alla lettura nella propria lingua».

Quali sono alcune delle tendenze emergenti nella tecnologia che possono essere adottate per migliorare ulteriormente la comunicazione inclusiva? E in che modo l’intelligenza artificiale e il machine learning, sottoinsieme della stessa intelligenza artificiale, hanno contribuito alle tecnologie assistive per le persone con disabilità visiva?
«L’accessibilità per le persone con disabilità visiva potrebbe essere migliorata con l’intelligenza artificiale, creando, fin dall’inizio, pagine web, applicazioni e documenti completamente accessibili, eliminando cioè la necessità di aggiustamenti manuali. In termini di tecnologia attuale, le app per smartphone e i sistemi di navigazione hanno già reso la mobilità molto più semplice per le persone con disabilità visiva. Questi strumenti, alimentati dall’intelligenza artificiale, permettono agli utenti di navigare in modo più indipendente senza dover chiedere continuamente assistenza. E tuttavia, come già detto in precedenza, un grande svantaggio emerge quando la tecnologia non è progettata pensando all’accessibilità. Ad esempio, molti servizi online, come quelli delle banche, stanno passando sempre più a piattaforme esclusivamente digitali. Quando questi servizi non sono completamente accessibili, essi limitano la partecipazione delle persone con disabilità visiva. Un problema comune riguarda ad esempio i sistemi di pagamento con touchscreen, dove la mancanza di output vocale può portare a rischi di sicurezza, poiché gli utenti potrebbero dover fare affidamento su altre persone per inserire informazioni sensibili quali i codici PIN.
Questi esempi dimostrano con chiarezza che la tecnologia deve essere costruita accessibile fin dall’inizio, garantendo un accesso equo per tutti».

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